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Chi conosce i Pubblici Esercizi Italiani sa che e un mondo popolato di personaggi estroversi, non di rado carismatici, per la grandissima parte socievoli, e comunque fortemente consapevoli dell’importanza dell’aspetto relazionale del mestiere.
Un po’ come le giornate di primavera che fanno capolino in coda ad un lungo inverno, una luce sulla ripartenza del settore era sembrata accendersi in queste settimane, con l’allargata condivisione, anche politica, sulle possibilità della riapertura serale dei ristoranti nelle regioni gialle. Poi, la brusca gelata. La spiegazione a tutto questo affonda ormai solo in un radicato pregiudizio e nella enorme difficoltà che richiede assumere decisioni razionali in situazioni emergenziali.
Nel mezzo di una situazione – sanitaria, economica, sociale e anche psicologica – che rimane drammaticamente complessa, si è avviato il cammino del Governo Draghi, che sembra intercettare le speranze e dare nuova fiducia al Paese, grazie sia all’indiscutibile caratura e carisma del Presidente del Consiglio, sia alla vastissima base parlamentare che lo sorregge e che dovrebbe ripararlo dagli agguati e dai ricatti tipici della (cattiva) politica.
Settantotto sono i giorni di chiusura in cui i Pubblici Esercizi italiani hanno dovuto abbassare serrande, primi ad essere chiusi e ultimi ad essere ri-aperti, impediti a servire anche un solo cliente, mentre questo stesso cliente poteva stare in fila in un supermercato. Inoltre, gli stessi Esercizi sono stati sottoposti ad uno stillicidio di provvedimenti nazionali, regionali e, in alcuni casi, locali: chiusura alle 24, anzi no alle 23, ancora no alle 22
e poi alle 18 e, infine, chiusura totale, ma solo nelle zone rosse e arancioni. Infine, le Feste Natalizie, raggiunte in un’altalena di indiscrezioni, ripensamenti e devastante incertezza, con il nuovo blocco totale arrivato solo in prossimità del Natale.
La pandemia in corso ci presenta mese dopo mese un conto umano, sociale ed economico che sembra diventare esponenziale. FIPE stima che, alla fine di questo periodo, 50mila imprese chiuderanno, costrette – in molti casi – ad una procedura fallimentare dalle ben note conseguenze sulle loro famiglie, sulla rete dei loro fornitori, sui loro dipendenti e sulla reputazione degli stessi imprenditori.
Una nota canzone di Lucio Battisti – Con il nastro rosa, 1980 – ripeteva: “chissà che sarà di noi, lo scopriremo solo vivendo”. Se lo chiedono oggi anche i Pubblici Esercizi italiani, con l’incognita supplementare che sul mondo della somministrazione incombono nubi talmente nere, tra limitazioni di orario, coprifuoco, incertezza e insufficienza degli aiuti, da non renderne pacifica la stessa sopravvivenza. Tante imprese, tra bar, ristoranti, pub e discoteche, insomma, rischiano di non avere il tempo utile per vedere cosa sarà di loro, perché avranno chiuso i battenti.
Nella fase post-emergenziale da Covid-19, per il settore dei Pubblici Esercizi, quasi paradossalmente, sono esplose le problematiche collegate a due fenomeni opposti, eppure concomitanti: la movida e lo smart-working.
Il fenomeno della movida non è di certo nuovo, come non lo è purtroppo quello della “mala-movida”, ma ha trovato nella sofferente clausura imposta dal lungo lockdown un detonatore, che ha acceso in alcuni il desiderio di eccessi e ha alimentato
patologie sociali come la violenza, il vandalismo e il disordine.
Antonio Scurati, nel suo “Epitaffio per i bambini degli anni Quaranta” pubblicato recentemente sul Corriere della Sera, ha dedicato un commovente ricordo ai sopravvissuti alla guerra, nati nelle macerie, ragazzi della speranza e uomini della ricostruzione, in troppi tristemente deceduti a causa della pandemia globale. Una generazione che non aveva ammortizzatori sociali o reddito di cittadinanza, ma che ha costruito sul lavoro, sul sacrificio, sull’impegno personale, l’Italia moderna.
Cari amici imprenditori,
con l’inizio della cosiddetta “Fase-2”, mi sembra giusto indirizzare ai Pubblici Esercizi italiani questo nuovo messaggio: un messaggio che ricostruisce gli ulteriori passaggi associativi fatti finora, ma che vuole essere innanzitutto un piccolo gesto di vicinanza verso gli imprenditori del settore che rappresento e delle cui preoccupazioni mi sento professionalmente, sindacalmente e umanamente parte.