Home restaurant e ristoranti: siamo certi che siano poi così diversi?
Per la FIPE la regolamentazione degli home restaurant risponde ad un’esigenza di equità e sicurezza prima ancora che di sfida competitiva. D’altro canto, in Italia ci sono oltre 470 mila attività di ristorazione a dimostrazione di quanto gli imprenditori di questo settore siano abituati a misurarsi sul piano della concorrenza. Non sarà, dunque, la presenza di queste nuove attività a stravolgere l’assetto del mercato a patto che rispettino gli obblighi fiscali, sanitari e di sicurezza a tutela dei consumatori e del settore.
Negli ultimi anni il fenomeno degli home restaurant ha preso piede in Italia, e sono numerose le offerte sul web che promuovono la “ristorazione domestica” per ospiti paganti. Se volessimo evidenziare i punti in comune con la ristorazione tradizionale, risulterebbe subito evidente che:
- entrambe le attività devono garantire la sicurezza alimentare dei propri clienti rispettando specifici standard igienico-sanitari;
- per evitare di essere abusive, entrambe richiedono una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o un’autorizzazione nelle aree tutelate, a seconda della zona in cui si insediano;
- in tutte e due i casi devono essere rispettate le regole sull’informazione al consumatore, evidenziando gli allergeni, indicando i prezzi e rispettando divieti specifici, come quello di somministrazione di alcol ai minori.
- entrambe le attività effettuano la preparazione e somministrazione di cibi e bevande in cambio di un corrispettivo, con un’offerta aperta al pubblico indistinto.
Affinità che, mettendo al centro la tutela del consumatore, confermano la necessità di un sistema omogeneo di regole.
Dello stesso parere d’altronde sono stati anche i Ministeri competenti (Risoluzione MISE n. 50481 del 10 aprile 2015 e nota del Ministero dell’Interno del 30 gennaio 2019), così come la Conferenza Unificata (Atto n. 28/CU del 17 aprile 2019). Anche la giurisprudenza ha confermato questa interpretazione, in quanto, sebbene le attività di home restaurant potrebbero presentare difformità quantitative (offerta saltuaria rivolta a un minor numero di persone) rispetto al genus ristorazione, i profili caratterizzanti della prima (offerta al pubblico, pagamento di un corrispettivo, ecc.) sono tipici dell’attività di somministrazione e, quindi, sono idonei a consentirne l’assimilazione dal punto di vista normativo (sentenza secondo grado, Tribunale di Pisa n. 492/2024 – dello stesso senso anche TAR Campania n. 3883/2018, Consiglio di Stato n. 02437/2023).
In altri termini, come per ogni attività che prevede un servizio al pubblico, la natura domestica dell’home restaurant non esonera dalla necessità di essere regolamentata. Le abitazioni in cui si esercitano queste attività dovrebbero rispettare adeguati standard di sicurezza e igiene, alla stregua di quelli richiesti per aprire un bar, un ristorante o per svolgere attività di banqueting e catering. E, per non essere abusive, devono essere dichiarate ai Comuni e alle autorità di controllo per poterle ispezionare mentre sono in esercizio.
In conclusione, se gli home restaurant rispondono alla domanda di chi cerca un’esperienza culinaria domestica, per la FIPE è essenziale che questa offerta non sfugga al quadro regolatorio esistente, per scongiurare forme di abusivismo e garantire un servizio in linea con la migliore reputazione della ristorazione italiana.
Materiali utili: