LE VERIFICHE PER “MEDIE” NON COSTITUISCONO PROVA

27 Giugno 2012

La Commissione tributaria regionale della Lombardia boccia i controlli basati sugli scostamenti da valori medi. Nel caso specifico era in discussione la fedeltà fiscale di un’azienda che presentava una redditività inferiore a quella calcolata a partire da un gruppo di aziende attive nel medesimo settore.


La  Ctr della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza 72/65/2012 afferma che tale divergenza può costituire soltanto una presunzione semplice, insufficiente a provare la fondatezza dell’accertamento. La Commissione, assimilando l’accertamento ad una sorta di studio di settore “artigianale”, pone due condizioni:
1.    l’avvio di un contraddittorio preventivo tra contribuente e amministrazione;
2.    la presenza di ulteriori elementi a sostegno della pretesa.

Questa sentenza dovrebbe scoraggiare, almeno si spera, gli uffici dell’amministrazione finanziaria a ricorrere all’utilizzo di metodologie di accertamento a “tavolino” che rettificano i ricavi di impresa solo perchè alcuni indici dichiarati dai contribuenti non sono in linea con quelli delle medie di settore.

Ma se una rilevazione statistica può valere esclusivamente quale “supporto razionale” per l’attività di accertamento le due condizioni sopra richiamate, e specificatamente la seconda, devono trovare applicazione anche nei cosiddetti accertamenti induttivi.
Anche qui, infatti, siamo sempre in presenza di studi di settore “artigianali” basati su medie di settore. E’ il caso, pensando al mondo della ristorazione, degli indicatori di sfrido, di ricarico o delle quantità di prodotto utilizzate per il servizio, la più nota delle quali è quella dei 7 grammi di caffè per tazzina.
Ne deriva che l’infedeltà fiscale di un ristorante non può basarsi soltanto su stime di ricavi effettuate a partire da quegli indicatori medi riportati nelle cosiddette “Metodologie di controllo”.

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