L’INTERVENTO DI RICCARDO BORGO AL 17° FORUM CONFCOMMERCIO: “I PROTAGONISTI DEL MERCATO E GLI SCENARI PER GLI ANNI 2000”, CERNOBBIO 18 E 19 MARZO 2016
Prima di entrare nel tema specifico per cui mi è stata data l’opportunità di intervenire, e forse per farmi capire meglio, mi sia consentito di poter fare, seppur in maniera incompleta e schematica, un passaggio sulla coerenza tra questo sistema imprenditoriale, che vorrei definire con lo “spirito di Cernobbio”, ed il modello del turismo balneare italiano che noi rappresentiamo.
Siamo un Paese in mezzo all’acqua, con coste che nessun altro Paese può vantare, e il sistema di filiera che c’è dietro è molto complesso e produce valore aggiunto, occupazione e 20 miliardi di euro di soli consumi. Le concessioni demaniali sono nel cuore di questo sistema con le loro 30 mila piccole e medie imprese (le tanto citate PMI che tutti decantano ma delle quali pochi si ricordano quando è necessario fare davvero interventi seri di tutela), i 100.000 addetti diretti, i milioni di servizi che prestiamo. Taluni, come la sicurezza in mare, in sostituzione dello Stato.
Negli ultimi 150 anni gli stabilimenti non sono rimasti fermi nel loro privilegio, come alcuni tendono a far credere, bensì si sono evoluti in linea con le esigenze del turismo: dagli anni ’50/60 – con le vacanze esclusivamente “di spiaggia” – si è passati all’oggi con strutture complesse, centri integrati di servizi, specializzazioni a tutto tondo per dare risposte adeguate alle diverse tipologie di clienti. In altri termini si è saputo coniugare il valore della tradizione con la capacità di portare innovazione per stare al passo con le sempre maggiori e diverse esigenze del turismo. Il tutto, lo voglio ricordare con orgoglio, investendo soldi nostri, senza contributi o sussidi di nessuna natura. Tanto meno con soldi pubblici.
L’importanza delle strutture balneari è quindi legata all’importanza del turismo di una località. La spiaggia è l’elemento attrattore, ma il posizionamento della località lo fanno gli stabilimenti balneari. Tanto che in moltissimi casi si sono create vere e proprie eccellenze riconosciute a livello mondiale.
Queste imprese, inoltre, contano su una fedeltà pluriennale dei loro clienti, addirittura ci sono generazioni e generazioni che passano in quello stesso stabilimento con componenti di ritorno molto forti.
Il comparto è cresciuto grazie a leggi che hanno dato garanzie e certezze. Ora vogliamo rovinare tutto ciò con il far west delle aste? E lo vogliamo fare per tutti e da subito, anche quando non si parte da base zero ma da base in corso? Qui si corre davvero il grosso rischio di passare dalla logica produttiva e di lavoro che ha distinto da sempre questo settore, alla logica finanziaria che inevitabilmente significa far entrare nel sistema le grandi società di capitale che acquistano il meglio e portano avanti una logica imprenditoriale della quale abbiamo sperimentato guai e guasti.
Il rischio è di un turismo globalizzato e asettico: ritengo che andare in questa direzione anziché valorizzare i territori, la cultura, la tradizione significa prendere una strategia contraria a quella che si deve seguire per far eccellere sempre più il turismo balneare italiano.
Fatte queste premesse si può affermare che la “questione balneare italiana” deriva dall’obbligo previsto da un insieme di norme, che per semplicità possiamo sintetizzare in “direttiva Bolkenstein”, che impongono agli stati dell’Unione Europea di assegnare le concessioni demaniali con un sistema di evidenza pubblica al fine di garantire concorrenza e libertà di mercato.
Il problema ineludibile che si pone è quello di porre mano ad una riforma organica che sia in grado di conciliare i principi della libera concorrenza con la necessaria tutela di questo cruciale settore economico, prezioso patrimonio del nostro Paese, e per le imprese che lo costituiscono.
Peraltro si tratta di un settore ancora disciplinato da regole che risalgono sostanzialmente al Codice della navigazione del 1942 e che in questi ultimi decenni – più che alla semplificazione delle Istituzioni che lo governano – si è assistito al loro moltiplicarsi e sovrapporsi.
E’ quindi evidente che questo sistema necessita da tempo di un processo riformatore profondo che va dalle modi di affidamento delle concessioni, alla loro durata e alla natura delle opere; dai canoni alle delimitazioni demaniali; dalla devoluzione delle opere alla semplificazione dei soggetti titolari delle funzioni.
Fra tutte queste problematiche quella divenuta centrale è quindi la salvaguardia dei diritti delle aziende attualmente operanti a seguito di una concessione amministrativa che – così come previsto dalle norme oggi abrogate – alla scadenza riconosceva al titolare la certezza della continuità dell’azienda attraverso il suo rinnovo. Diritti che non possono essere travolti da una astratta applicazione di principi che devono invece tenere conto dei contesti economici, sociali, culturali oltre che di tradizione e peculiarità, dei Paesi tenuti ad applicarli. Credo di poter affermare che per alcuni settori e in altri Paesi lo si sia fatto senza tanti tentennamenti.
Sono ormai anni che i balneari sollecitano, inascoltati, tutti i Governi e i vari Parlamenti che si sono succeduti ad agire in tal senso, con l’obiettivo di aprire subito il mercato al rilascio di nuove concessioni nelle Regioni – in modo particolare del centro-sud – nelle quali ci sono spazi ed esigenze turistiche, magari privilegiando imprese di giovani e donne e, nello stesso tempo, ridare futuro e certezze alle imprese esistenti e, di conseguenza, riavviare gli investimenti ormai fermi da troppo tempo.
E’ quindi necessario su questi temi riprendere con il Governo il confronto che era già iniziato qualche mese fa ma che si è inopinatamente fermato a causa della vicenda giudiziaria che riguarda la messa in discussione della vigente proroga al 31 dicembre 2020 della durata di tutte le attuali concessioni, con una questione pregiudiziale posta da due TAR alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
La prossima pronuncia della Corte, preceduta qualche settimana fa dalle conclusioni dell’Avvocato Generale, ha riproposto con urgenza la “questione balneare italiana” all’attenzione delle istituzioni, delle forze politiche, della pubblica opinione ma soprattutto delle 30.000 imprese e delle centinaia di migliaia di addetti ingenerando ansie, preoccupazioni, scoramento e, purtroppo si, anche paura.
L’imminenza di tale pronuncia a nostro parere deve essere uno stimolo e non un freno a mettere mano, subito, alla legge di riforma del settore. Ecco perché non condividiamo talune posizioni di attesa del pronunciamento del giudizio per intraprendere il processo riformatore. Solo dopo aver trovato qui, in Italia, i giusti ed indispensabili equilibri, oltre che le necessarie intese tra tutti i soggetti attori (assolutamente apprezzabile è la posizione assunta dalle Regioni), si potrà affrontare con forza e ragioni da vendere il confronto con l’Unione Europea.
Riforma che in primo luogo deve porre la tutela della certezza del diritto e della buona fede di chi ha confidato nello Stato che per decenni ha garantito, con le norme e con la prassi amministrativa, la continuità delle imprese e degli investimenti non solo di capitale, ma soprattutto del lavoro: una vera e propria scelta di vita per decine di migliaia di persone.
E’ indispensabile, inoltre, evitare un pregiudizio anche al diritto di proprietà dell’azienda, costituzionalmente e comunitariamente tutelato, dal momento che la concessione demaniale costituisce un suo indissolubile presupposto tal che il trasferimento di questa comporta la perdita di quella. Di fatto, una confisca.
L’evidente ingiustizia che rischia di crearsi – che si tradurrebbe inevitabilmente in un contenzioso, tanto esteso quanto devastante – deve quindi indurre l’insieme delle Istituzioni nazionali (Governo, Parlamento, Regioni e Comuni) ad un urgente intervento riformatore che salvaguardi queste aziende attraverso la previsione:
a) dell’assegnazione delle nuove concessioni ad evidenza pubblica con regole che comunque incentivino in termini di durata e di riconoscimenti la costituzione e il mantenimento di imprese solide e competitive come è nella tradizione del turismo balneare italiano;
b) di un periodo transitorio trentennale da riconoscere alle imprese esistenti analogamente a quanto previsto in Spagna e in altri Paesi europei;
c) di un indennizzo da riconoscere al concessionario pari al valore di mercato dell’azienda eventualmente persa;
d) della sdemanializzazione e alienazione, con diritto di opzione in favore del concessionario, delle aree di sedime delle strutture che abbiano perso la caratteristica dell’uso pubblico del mare;
e) della riforma del calcolo del canone che elimini le attuali storture che derivano dall’applicazione dei valori OMI che stanno portando al fallimento qualche centinaio di imprese e che, nel contempo, garantisca gettito adeguato e risulti più equilibrato, equo, sostenibile.
Ringrazio di avermi data l’opportunità di evidenziare la situazione di un settore che ben si ritrova in questa sessione che riguarda il patrimonio del turismo in Italia e che anche le nostre imprese lo rappresentano in termini di cultura, di tutela del territorio e dell’ambiente, e che incominciano a farsi valere anche nell’enogastronomia.
Il nostro è un settore che ha certamente bisogno di interventi di manutenzione. Non di essere demolito. Nell’interesse delle imprese, delle famiglie e dell’economia turistica del nostro Paese.