Non solo doggy bag | Ingredienti, porzioni, cotture e le strategie dei ristoranti contro gli sprechi

31 Marzo 2025

Fipe-Confcommercio ha lanciato la campagna “Love Food, No Waste” con attività di formazione e consigli rivolti agli imprenditori. Stefano Bartolucci, titolare del Rosso DiVino di Valmontone: «Dobbiamo capire quali sono i consumi e agire di conseguenza per avere meno scarto possibile».

Dalla scelta degli ingredienti alle lavorazioni in cucina, fino al servizio al tavolo. L’attenzione di ristoratori e chef per ridurre gli sprechi alimentari non si limita più solo a incentivare i clienti a portare a casa gli avanzi di cibo nel piatto.

Mentre nelle case degli italiani nel 2024 è stato sprecato quasi il dieci per cento di cibo in più in un anno (secondo i dati dell’Osservatorio Waste Watcher), nei locali la riduzione al minimo degli scarti è diventata ormai una necessità, anche economica.

Nonostante il 61 per cento dei clienti ritenga che il problema dello spreco alimentare nella ristorazione sia più elevato rispetto a quello domestico, i dati dicono tutt’altro. Secondo Eurostat, le attività di food and beverage sarebbero responsabili solo del 9 per cento degli sprechi, mentre le famiglie del 53 per cento.

Fipe-Confcommercio, l’organizzazione che rappresenta i pubblici esercizi in Italia, ha promosso tra gli associati non solo il “Rimpiattino”, il kit anti-spreco per portare a casa il cibo avanzato, ma ha anche lanciato la campagna “Love Food, No Waste” con attività di formazione e consigli rivolti agli imprenditori per limitare gli sprechi alimentari.

Lo chef Stefano Bartolucci, titolare del ristorante Rosso DiVino di Valmontone, alle porte di Roma, è tra i principali volti della campagna di Fipe, diventato per tutti i suoi colleghi una miniera di soluzioni pratiche per realizzare una cucina a spreco zero. «Dobbiamo capire quali sono i consumi e agire di conseguenza per avere meno scarto possibile», spiega Bartolucci. «Si parte quindi dalle ricette e dalla scelta degli alimenti per avere il minore accumulo di umido possibile». Qualche esempio? «Se nel menu ho un filetto», spiega lo chef, «i ritagli li recupero per fare le polpette all’amatriciana». Ma anche le porzioni servite devono essere delle giusta quantità. «È inutile portare a tavola due etti di pasta, il cliente non li mangerà mai e si sprecherà molto cibo», dice Bartolucci. «Bisogna standardizzare le porzioni affinché vengano consumate».

Il risultato è un secchio dell’umido molto leggero. «Sabato sera sono andato a misurare la vaschetta dell’umido accumulato tra inizio e fine lavori ed era solo di 900 grammi», racconta lo chef. Ma anche l’umido, al Rosso DiVino, non viene sprecato. «Collaboriamo con una rete di aziende agricole per riutilizzare gli scarti alimentari come foraggio per animali», spiega Bartolucci. «E grazie a una macchina che tritura e secca, trasformiamo anche i materiali di scarto in concimi organici naturali al cento per cento che doniamo alle aziende del territorio».

Altro aspetto importante è anche il consumo energetico nei locali. «Le nostre bollette oggi sono un quinto di quelle di qualche anno fa», racconta lo chef. «Come abbiamo fatto? Prendiamo ad esempio il coniglio: prima lo cuciniamo con le patate, poi lo rimettiamo sottovuoto, in modo da poterlo rigenerare in pochissimo tempo, anche a bassa cottura, quando viene chiesto da un cliente». Nella cucina del Rosso DiVino, il bollitore e la piastra sono quasi sempre spenti. «È inutile entrare in cucina e accendere un bollitore la mattina per fare il servizio e magari quel giorno arriveranno cinque persone, di cui tre mangiano carne e due pasta. Non ha senso. Noi lavoriamo solo con quattro fuochi e tutta la cucina si muove con questo schema».

A Roma, poco lontano dal ristorante dello chef Bartolucci, Daniela Gazzini e Cristina Cattaneo hanno fondato nel 2008 il marchio Vivi Bistrot, che conta cinque locali, tra cui Le Serre, il ristorante di Villa Doria Pamphili, diventato uno dei simboli della cultura «zero waste». Nel 2022 la società ha ottenuto la certificazione di BCorp, Beneficial Corporation, che identifica quelle aziende che soddisfano gli standard più elevati di trasparenza, sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. Una sorta di «club dei virtuosi» che deve seguire standard molto rigorosi, tra cui anche una gestione oculata dei rifiuti e l’abbattimento dell’impronta di carbonio.

«Il fatto di aver scelto ormai da sedici anni di impostare il menu su prodotti biologici significa già avere rispetto per l’ambiente e il territorio», racconta Daniela Gazzini. «E oltre a questo, abbiamo impostato un menu che segue il principio dello spreco zero». Ad esempio, «del tonno usiamo tutto. Sia i tranci, sia le parti meno nobili per le polpette e i brodi di pesce. E con la fibra della frutta che avanza dalle centrifughe, realizziamo le nostre barrette». Ma le due imprenditrici hanno pensato anche a come far rinascere l’olio usato delle fritture. «Ho scoperto che questo olio aveva un valore», racconta Daniela Gazzini. «Ho indagato e ho trovato una società che viene a prenderlo e lo trasforma in biocombustibile». Per tutto quel poco che resta nel secchio dell’umido, nella cucina delle Serre è posizionata anche «una compostiera elettronica che, con un processo di batteri e calore, trasforma il compost organico in terriccio secco che noi rimettiamo nel nostro giardino».

Nulla è sprecato, anche gli scarti diventano risorse di valore. E ovviamente anche il personale deve essere coinvolto e formato sull’abbattimento degli sprechi, la corretta conservazione degli alimenti e l’importanza di ridurre le porzioni in eccesso. E in questo lavoro di team, un alleato importante sono macchinari moderni che permettono di conservare e usare il cibo all’occorrenza, senza gettare via nulla.

«Una strada per ridurre gli sprechi è ad esempio, il metodo Cook & Chill», spiega Glauca Vesperini, responsabile marketing dell’azienda Angelo Po Grandi Cucine Spa, che dal 1922 produce attrezzature per le cucine professionali. «Si tratta di un metodo di lavoro per la preparazione e la conservazione dei cibi in cui si minimizza il rischio microbiologico prevedendo, al termine della cottura, un rapido raffreddamento degli alimenti o la surgelazione. Oltre a garantire la qualità del piatto, il cibo avrà una vita più lunga e alla fine ci sarà minore spreco in cucina».

Altro strumento prezioso proposto dall’azienda è l’abbattitore rapido di temperatura, che permette un raffreddamento veloce dei cibi. «Un prodotto cotto non raffreddato con un abbattitore ha una durata di circa 48 ore, utilizzando invece un abbattitore rapido possiamo allungare la vita degli alimenti fino a 6-7 giorni», spiega Vesperini. Ad esempio, se un sugo preparato per il servizio del pranzo non è stato usato tutto, lo chef può abbattere il rimanente e conservarlo anche per una settimana. E con le macchine multifunzione, «si può immaginare di usare un abbattitore anche per effettuare il mantenimento durante il servizio e alla fine abbattere direttamente i prodotti non utilizzati per allungarne la shelf life e quindi ridurre lo spreco». Senza dimenticare la digitalizzazione tra i fornelli. «Grazie a sensori intelligenti, software avanzati e interfacce connesse, le moderne attrezzature da cucina consentono di ricevere notifiche immediate su eventuali anomalie, ad esempio una variazione di temperatura in una cella frigorifera, un malfunzionamento di un forno o un ciclo di cottura non completato correttamente», spiega Vesperini. «Questo permette di intervenire tempestivamente, riducendo il rischio di guasti, sprechi e fermi macchina non programmati».

Daniela Gazzini lo conferma dalla sua esperienza di imprenditrice della ristorazione. «L’utilizzo di macchinari moderni», dice, «aiuta tantissimo perché permette di avere più preparazioni da usare all’occorrenza, senza buttare nulla. Le polpette non stanno più nel pentolone come una volta tutto il giorno. Così facendo, quello che resta andrebbe buttato. Se invece le polpette sono messe in buste sottovuoto, cotte anche a bassa temperatura, durano molto di più. Stessa cosa con il carpaccio di pesce: una volta che arriva il pesce, viene pulito e diviso per porzioni nei sacchetti messi in abbattitore. Nel momento del servizio tolgo due o tre buste. Tutte queste procedure della cucina moderna hanno aiutato e portano a una corretta conservazione del cibo che evita lo spreco alimentare».

Questo significa, spiegano da Fipe, concepire il cibo non come «una commodity», ma come materia che ha un valore. E in questo modo anche gli scarti possono essere valorizzati. Come dice Stefano Bartolucci, «io faccio le carbonare, questo è il mio dovere. Quindi tocca a me trovare il sistema per poterle fare al meglio. Il mio guadagno sta nel secchio. Se riusciamo a fare le cose nella maniera più giusta, tutto quello che rimane non è più un residuo ma una risorsa».


Articolo di Gastronomika, Linkiesta

Non hai trovato quello che cercavi?
Seguici su