La misura del tempo sociale

21 Marzo 2025

Francesco Billari, Rettore della Bocconi e Professore di Demografia, ha paragonato la società ad un orologio, dove la politica segue la frenesia della lancetta dei secondi, le imprese si muovono al ritmo dei minuti, veloci ma con il tempo della strategia, mentre la demografia avanza con la lancetta delle ore, che sembra ferma, ma è invece in inesorabile movimento. Ed è alla fine la lancetta delle ore a scandire le tappe più importanti della vita: una società sbilanciata generazionalmente determina anche una diversa demografia delle imprese e diverse possibilità di crescita del mercato, segnando il passo anche per i temi della politica.

E se oggi osserviamo la lancetta delle ore della società italiana osserviamo che siamo in grande ritardo: 379.890 nascite nel 2023, minimo storico (contro il dato record del 1964 di 1.035.000) che mette in crisi tanto la tenuta del sistema previdenziale, quanto la possibilità di ricambio generazionale nelle aziende italiane.

A questo si aggiunga l’innalzamento dell’aspettativa di vita: nel 1861 l’aspettativa di vita era ferma a circa 30 anni, nel 1921 cresciuta a circa 50 anni e arrivata, nel 2023 a 81,1 anni per gli uomini e a 85,2 per le donne.

L’accoppiata diminuzione delle nascite e aumento della speranza di vita, comporta una redistribuzione demografica senza precedenti, con una quota di anziani sempre maggiore, che stravolge il rapporto tra popolazione attiva e non attiva, causando il cosiddetto “longevity shock” l’onere socio-economico, cioè, da sostenere per la cura, l’assistenza e la previdenza degli anziani.

Questo instabile equilibrio, però, si può ricercare lavorando sulle politiche dell’immigrazione e della famiglia, che hanno -per stare in metafora- la stessa funzione della corona dell’orologio, che corregge l’orario spostando le lancette, perché possono incidere e compensare gap generazionali.

I flussi immigratori correttamente gestiti, attenti cioè ai temi dell’integrazione e dell’inclusione sociale, possono innervare la Società di nuova popolazione, in grado sia di compensare carenze nel mercato del lavoro, ma anche di dare ulteriore stimolo culturale ad un popolo.

E poi ci sono le politiche per la famiglia e tutto quello che si potrebbe fare per sostenere la genitorialità, che le nuove generazioni affrontano con reticenza e una certa apprensione. Secondo l’ISTAT il 63,30% dei giovani, e cioè 6,5 milioni di persone tra i 18-34 anni, in Italia vivono ancora con i genitori, non per scelta, ma per necessità. Se non si riesce a vivere da soli in autonomia, figuriamoci a metter su famiglia.

Quando lo si fa poi, le implicazioni personali e sociali possono essere molto dolorose. Se esiste infatti una correlazione positiva tra il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro con il tasso di fertilità (più le donne lavorano più fanno figli), è altrettanto vero che 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo il primo figlio per la difficoltà a conciliare lavoro e cura del bambino/a.

Si disperdono così competenze fondamentali per il mercato e per le imprese, ma si tolgono anche le risorse alle famiglie per crescere meglio, e alle persone per fare scelte autonome e consapevoli.

Basti pensare che se l’Italia avesse un tasso di partecipazione femminile al lavoro pari a quello europeo si avrebbero quasi 2,8 milioni di occupate in più.

Quando le lancette dell’orologio della parità di genere tornano indietro, insomma, è tutto il Paese a perdere il terreno, e rischiamo poi che diventi troppo tardi per recuperarlo.

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