ASSEMBLEA 2024 – Relazione del Presidente Lino Enrico Stoppani

20 Novembre 2024

Svolgiamo questa Assemblea in un contesto che continua ad essere complicato, per tante ragioni di ordine macroeconomico e geo-politico. Mi riferisco alle tensioni internazionali tra cui i drammatici fronti di guerra che causano vittime, danni e aumentano incertezze; alla debolezza della nostra economia, nonostante il rientro dell’inflazione e la riduzione dei tassi di interesse; alla sofferta manovra di bilancio che sconta il peso dell’ingente Debito Pubblico che strozza il presente e ipoteca il futuro.

A questi problemi si aggiungono quelli sul cambiamento climatico, con i tangibili effetti che questi producono sulla nostra quotidianità, con gli eventi calamitosi e catastrofici, sempre più imprevedibili e devastanti, che si alternano con i lunghi periodi di siccità, che testimoniano la gravità del fenomeno e la necessità di un percorso di transizione ecologica, con cambiamenti tanto difficili e onerosi da attuare, quanto inevitabili per contrastare i rischi connessi, temi ripresi proprio in questi giorni alla Conferenza COP29 a Baku, con prospettive che non incoraggiano l’ottimismo.

Ai cambiamenti climatici si associa la rivoluzione tecnologica in corso, con implicazioni economiche, sociali e umane profondissime, che sta offrendo tante opportunità e alimentando altrettanti rischi.

In questo contesto ricco di complessità, pericoli e anche opportunità, abbiamo scelto di dedicare la nostra Assemblea al tema della formazione, per l’esattezzacon il titolo: “Formare ed Educare – I protagonisti per una nuova cultura del cibo”.

Questa scelta non vuole essere un modo per evitare di affrontare le grandi sfide del presente. Anzi, quelli della formazione e dell’educazione sono invece temi che consideriamo un prerequisito indispensabile per affrontare le transizioni, i cambiamenti e i problemi che il mondo contemporaneo presenta alle persone, alle imprese e alle comunità.

Tempo fa, lo scrittore/insegnante Alessandro D’Avenia ha scritto un bellissimo editoriale dal titolo “L’altezza dei quadri”, dove spiegava con un’immagine molto efficace un concetto fondamentale sulla funzione dell’istruzione e dell’educazione.

D’Avenia faceva questo esempio: se per appendere i quadri in casa si dovesse chiedere ad un bambino un consiglio, questo indicherebbe un punto molto basso, perché per i bambini tutti i quadri sono appesi troppo in alto rispetto alla loro statura.

“Ma a quale altezza è giusto appendere i quadri?” si chiedeva D’Avenia. C’è chi sceglie il compromesso e alla fine non vede bene nessuno.

Eppure, concludeva lo scrittore, “è lecito pensare che il vero educatore appenderà il quadro all’altezza a cui sta meglio e insegnerà al bambino ad usare la sedia in modo adeguato”.

La formazione, dunque, è la “sedia” che permette a tutti di raggiungere un punto di osservazione efficace, importante soprattutto per i più giovani chiamati a dare alla propria vita un orientamento e una direzione.

Qualcun altro paragona la scuola ad un supermercato, perché come il supermercato viene studiato per agevolare la cosiddetta “architettura delle scelte”, per influenzare, cioè, il comportamento delle persone in modo prevedibile, senza proibire altre scelte o imporre l’acquisto, così la scuola dovrebbe essere in grado di incentivare le scelte utili, cosa molto diversa dall’obbligarle, stimolando la curiosità, l’acquisizione di conoscenze e anche il ritorno in aula.

In questa direzione vuole andare la Riforma della Scuola del Ministro Valditara, che è intervenuta profondamente nella filiera tecnico-professionale, con l’obiettivo di rafforzare la funzione educativa e di orientamento della scuola, riscrivendo anche le linee guida per l’insegnamento di una materia con potenzialità importanti per l’impatto personale e sociale: l’educazione civica.

Questo rinnovato interesse per l’educazione civica, che ha la finalità di promuovere i valori fondamentali per una cittadinanza attiva,  dovrebbe riguardare aspetti legati anche all’alimentazione, insegnando il rispetto del cibo e l’assurdità dello spreco, il diritto di accesso al cibo inserito nella Dichiarazione Universale tra i diritti fondamentali dell’uomo, l’importanza di un sistema alimentare sostenibile, la corretta alimentazione e i valori nutrizionali, prevedendo moduli che trattino le patologie alimentari, il cambiamento climatico e l’ambiente, il ruolo di un’agricoltura sostenibile, collegando l’alimentazione ai temi economici, salutistici, sociali ed etici.

La Riforma introduce, inoltre, una serie di cambiamenti significativi nel sistema educativo italiano, con l’obiettivo di modernizzare e migliorare la qualità dell’istruzione, coltivando il talento.

Tra le novità della Riforma c’è anche la possibilità per le scuole di invitare chef, nutrizionisti, dietologi, agronomi, esperti e professionisti della materia, per tenere lezioni, seminari o laboratori pratici, proprio per favorire l’apprendimento di competenze e conoscenze da “chi ha mani in pasta”, passaggio che potrebbe anche caratterizzare una prossima edizione della nostra “Giornata della Ristorazione”.

Solo l’educazione, infatti, è in grado di incidere sul destino dei nostri ragazzi, aiutandoli a prendere autonomamente scelte capaci di cambiare in meglio la loro vita, che non significa solo acquisire competenze tecniche o contenuti scolastici, ma anche saper coinvolgere la persona nella sua totalità: testa, cuore, relazioni.

In un mondo di influencer e di follower, potremmo dire con le parole di Giuseppe De Rita che “formare è cambiare il giro dei pensieri di chi ti segue”.

Nel “Rapporto al Mercato Interno UE” che la Commissione Europea ha commissionato ad Enrico Letta, in aggiunta alla libera circolazione di merci, servizi, persone e capitale, è introdotta una 5° libertà: la libertà di ricerca, di innovazione e di istruzione, indispensabili per far crescere il Capitale umano, fattore strategico in ogni epoca.

Solo illuminando la strada per le nuove generazioni possiamo, infatti, insegnare ai giovani ad “accendere la lampadina” su autentici e duraturi progetti di vita, per dare luce al futuro anche del nostro Paese.

Sembrano temi apparentemente lontani dal perimetro di un’Associazione di categoria, che per definizione si occupa della rappresentanza sindacale di interessi di parte, ma oggi come non mai, l’educazione è al centro del futuro delle imprese, delle istituzioni e dell’intera umanità.

A prosperare, infatti, saranno solo i Paesi e le società che investiranno nello sviluppo del loro sistema educativo, formativo e di ricerca, mettendo questi temi al centro delle loro politiche, promuovendo la fertilizzazione dei talenti.

La capacità di adattarsi, di apprendere nuove competenze o di reinventarsi professionalmente, è diventata un’esigenza essenziale in un contesto dove le innovazioni tecnologiche rendono rapidamente obsolete molte competenze e dove solo l’educazione è in grado di migliorare il destino delle persone.

Parlare di formazione nel nostro settore, significa in particolare prendere in considerazione tre percorsi tematici diversi, seppur collegati tra loro.

Il primopercorso riguarda gli imprenditori, il secondo le risorse umane del settore, infine il terzoconcerne, in senso generale, la cultura del cibo e l’educazione alimentare.

GLI IMPRENDITORI

Partendo dalla prospettiva imprenditoriale, l’economista multidisciplinare e patriota Carlo Cattaneo (1801-1869) scriveva che in ogni cosa “prima del capitale, è l’intelligenza che comincia l’opera”, perché offre gambe e contenuti alle idee, precisando che il principale fattore della produzione è la conoscenza, la competenza, il saper fare.

Così, ricercando la scintilla all’origine di qualunque storia imprenditoriale di valore durevole, non troviamo, quasi mai, il capitale, ma ci imbattiamo in qualcuno che ha un’idea e un saper fare, attraverso cui rispondere in modo diverso e più efficace a problemi esistenti.

La storia economica è piena di imprese partite dalla genialità e dal talento di persone comuni: l’elettricista Edison, l’ingegnere Olivetti, il meccanico Benz, Il garagista Honda, il commesso Armani, il tipografo Rizzoli o il martinitt Del Vecchio, tanto per fare qualche esempio.

Storie, cioè, illuminanti ed affascinanti, piene di etica, umanità e umiltà di persone capaci di aggregare intorno alla conoscenza (e alla passione), gli altri fattori della produzione, costruendo gioielli d’impresa e ricercando senso e piacere nel lavoro, anche per tenere viva la vita e non farsi impantanare dalle avversità.

Queste imprese e questi imprenditori avevano, però, un minimo comun denominatore: una cultura d’impresa forte e una forte attenzione dedicata alle competenze.

La cultura, infatti, rafforza “geneticamente” le imprese, dotandole cioè degli attributi indispensabili a contrastare e a prevenire difficoltà, combattendo pigrizia o approssimazione gestionale, aumentando la propensione al cambiamento che consente di interpretare i momenti, capire le tendenze, avviare gli investimenti migliorativi, contrastare il fisiologico declino delle attività.

E, infatti, esiste un’enorme differenza di longevità e impatto sociale fra quella che l’Istituto Tagliacarne di Unioncamere definisce “imprenditoria per necessità”, come forma di autoimpiego in assenza di alternative, e la cosiddetta “imprenditoria per opportunità”, di chi si mette in proprio con un progetto di vita e di sviluppo aziendale.

In passato, proprio il nostro settore è stato meta d’elezione dell’imprenditoria di necessità, ma è oggi praticamente impossibile rimanere sul mercato se non si vira verso una prospettiva di opportunità, puntando sulle competenze.

Ricordo a proposito l’impegno di FIPE con Treccani per realizzare il nuovo Master in gestione delle imprese della ristorazione, il progetto di certificazione delle competenze avviata con Unioncamere e Renaia, il ruolo di For.Te., il principale fondo per la formazione continua di derivazione contrattuale e l’Associazione delle Scuole professionali che abbiamo promosso appunto per mettere insieme le eccellenze della formazione italiana nella Ristorazione.

In questo percorso virtuoso, però, la Politica deve fare la sua parte, perché se, da una parte, riconosce l’investimento professionale degli operatori, dall’altra, deve aiutare a ripristinare il principio “stesso mercato, stesse regole”, più volte leso negli anni, con la deriva normativa sulla sua legislazione, con la rimozione di molti vincoli per l’accesso al mercato e abbassando la dotazione dei requisiti professionali e morali necessari per l’esercizio delle attività di Pubblico Esercizio.

Le conseguenze sono evidenti: bassa produttività e marginalità, diffusa concorrenza sleale, strisciante dequalificazione, alta mortalità delle imprese, crescita dei rischi igienico-sanitari e delle malattie cibo-correlate, riciclaggio di denaro con le infiltrazioni malavitose, declassamento reputazionale, etc.

L’abbassamento dei requisiti per accedere ed esercitare la professione e l’assenza di qualsivoglia percorso di formazione continua ed obbligatoria per chi voglia rimanere nel mercato, rischia di pregiudicare la nostra riconosciuta leadership sul cibo e penalizzare anche la nostra offerta turistica, con la necessità, quindi, che qualsiasi ipotesi d’investimento sulle competenze non può prescindere dalla contestuale revisione anche delle regole di accesso (e di mantenimento) alla professione.

IL CAPITALE UMANO DELLE IMPRESE

Anche le imprese, però, devono fare di più, innanzitutto rendendo più attrattivo il settore, favorendo maggiore consapevolezza sulla importanza della scelta del percorso formativo da parte degli studenti degli Istituti Tecnico-Professionali e, in prospettiva, anche migliori livelli retributivi e di welfare settoriale.

I segnali che stanno arrivando da alcuni brand sono forti e chiari; Starbuck’s favorisce l’accesso all’Università dei suoi dipendenti, con incentivi e agevolazioni.

La Guida Michelin ha introdotto il premio di “Chef mentor”, quest’anno assegnato ad Antonino Cannavacciolo, per il suo impegno nel coltivare il talento di tanti ragazzi passati in 25 anni nelle cucine di “Villa Crespi”, il suo ristorante tristellato.

Due esempi diversi che dimostrano come gli aspetti della educazione e della formazione professionale siano ormai parte integrante anche dei criteri di valutazione di un’attività economica ed in prospettiva fattore di merito negli score ESG.

Eppure, c’è ancora molta strada da fare per virare, cominciando a considerare con convinzione il tempo della formazione non un costo aziendale, quanto un vero e proprio investimento.

L’ISTAT in un’indagine sul “Capitale Umano” delle aziende italiane, ha sottolineato come proprio il settore dei Pubblici Esercizi, abbia un dato tra i più bassi, evidenziando così inequivocabilmente le sue debolezze.

Sul capitale umano ci giochiamo lo sviluppo delle nostre imprese, ma anche il “mito” della cucina italiana, che la Fipe sostiene, investendo sulla “Carta dei Valori” e sulla “Giornata della Ristorazione Italiana”, con la quale vuole celebrare i valori, la qualità e l’identità del suo ricchissimo patrimonio alimentare, con forti risvolti di natura sociale, storica, culturale, antropologica.

È vero anche che il rapporto delle persone con il cibo è profondamente cambiato negli ultimi anni.

I processi demografici, le mode, le migrazioni e la pubblicità, hanno cambiato, infatti, menu, abitudini e comportamenti alimentari degli italiani.

Viviamo oggi un tempo di “pluralismo alimentare”, che non è tanto la convivenza di diversi stili alimentari o ricette gastronomiche, quanto piuttosto il differente modo di intendere e vivere il cibo, con i suoi valori e simbolismi.

Ciononostante, il mondo mangia e vuole mangiare italiano e questo accreditamento è cresciuto grazie alla capacità del Paese di diffondere la cultura del cibo e valorizzare il sistema dell’ospitalità, partendo dai grandi doni della sua morfologia, trovando nella Ristorazione un formidabile strumento di promozione, di educazione e di visione.

La cucina italiana non è fatta di “purismo” nelle ricette, ma di un’idea di vita dove il cibo è elemento di socialità, appartenenza e differenziazione, valori maturati nella sacralità della tavola, centro dei valori della condivisione, convivialità e comunità, fattore di crescita economica, sociale e culturale, di cui essere orgogliosi e che spiegano e sostengono la sua giusta candidatura a Patrimonio dell’umanità sotto l’egida Unesco.

L’EDUCAZIONE ALIMENTARE

E qui veniamo alla terza riflessione che va affrontata quando si parla di formazione ed educazione nel nostro settore: il tema dell’educazione alimentare.

Il cibo è veicolo di cultura e valori e la cultura del cibo cambia non solo il modo in cui consumiamo, ma anche quello in cui viviamo.

Verifichiamo un costante aumento delle malattie cibo-correlate, come l’obesità, il diabete, le intolleranze, le allergie alimentari o l’alcolismo.

Uno studio condotto dall’OMS ha evidenziato che negli ultimi 40 anni, nel mondo, il numero di bambini e adolescenti obesi (tra i 5 e i 19 anni) è aumentato esponenzialmente, passando dall’1% del 1975 (pari a 5 milioni di ragazze e 6 milioni di ragazzi) a quasi il 6% nelle ragazze (50 milioni) e l’8% nei ragazzi (74 milioni) nel 2020.

Sono numerose le ricerche che vedono l’Italia al primo postoin Europa per obesità infantile e le (cattive) abitudini alimentari acquisite durante l’infanzia tendono purtroppo a persistere anche nell’età adulta.

Per questo l’educazione alimentare dovrebbe essere una materia scolastica e i nostri ristoratori dovrebbero sentirsi ambasciatori quotidiani di questa missione.

La responsabilità di valorizzare la cucina e di educare oggi è affidata, infatti, anche alla Ristorazione, vista la crescita sia dei consumi fuoricasa, che dell’utilizzo dei piatti pronti e confezionati nelle famiglie.

Giancarlo Perbellini, recentemente e meritatamente insignito delle “3 Stelle” dalla Guida Michelin, portando a 14 il gruppo italiano al vertice della guida rossa, ha così commentato il prestigioso riconoscimento: “ho incominciato a 14 anni e le mie giornate libere le passavo andando a vedere i menu dei grandi ristoranti” chiudendo con la speranza che “nelle scuole i bambini possano ritrovare la manualità, facendoli giocare con la pasta e gli impasti”.

Parole semplici ma efficaci, che dimostrano che la curiosità è una forma di intelligenza che alimenta la passione e che la manualità ha anche un forte valore educativo.

Una suggestione, quella di Perbellini, che ci impegna a promuovere lo sviluppo della cultura alimentare nella scuola, di cui siamo convinti sulla sua utilità, per la quale da tempo si applica il Prof. Andrea Segrè per contrastare lo spreco di cibo e la stessa Slow Food, promotrice di una petizione pubblica.

Inoltre, un tema spesso sottovalutato è quello che riguarda la correlazione tra il cibo e la salute, nonostante da sempre si sostenga che la prima medicina stia “in cosa e come si mangia”.

Il cibo buono non fa mai male e l’intelligente rotazione degli alimenti arricchisce l’organismo; è quello cattivo, piuttosto, a cui si dovrebbe rinunciare, perché produce danni e malattie, ma il problema sta nella difficoltà del consumatore a saper distinguere tra cibo buono e cattivo, perché sul tema oggi le difese si sono molto abbassate.

La diffusione di scorretti stili alimentari testimonia l’incapacità di molti di dare il giusto valore al bisogno primordiale della nutrizione, a volte considerata solo un’esigenza fisiologica e non anche motivo di piacere e di gratificazione personale, proprie dei piaceri della tavola.

Stesso discorso riguarda l’alcol che nei suoi eccessi si trasforma in piaga sociale, come ricordiamo nelle tante iniziative che, come FIPE, realizziamo sul tema del bere responsabile e consapevole.

Nella nostra società, sono certamente cambiati i tempi e le priorità, e alle nuove generazioni manca certamente la conoscenza del cibo, propria, invece, di quelle che le hanno precedute, per le quali la rotazione dei piatti, la varietà, la stagionalità, la territorialità, la qualità e la giusta quantità, oltre che la fame, hanno accresciuto sensibilità e competenza al gusto e al buono, contrastando anche lo spreco, piaga della contemporaneità.

A tal proposito, lo scorso 16 ottobre cadeva la “Giornata Mondiale dell’Alimentazione”, che si propone l’obiettivo di ricostruire un mondo sostenibile in cui tutti possono avere regolare accesso al cibo, superando il “Paradosso dell’Abbondanza” richiamato da Papa Francesco, con un mondo che spreca risorse e un altro che soffre ancora di fame, sete e malnutrizione.

Lo ricordava poco fa il Presidente Sangalli, citando i dati, anche italiani, della povertà alimentare, una delle molteplici accezioni di povertà di cui proprio domenica scorsa si è celebrata “l’VIII Giornata dei Poveri” per sensibilizzare e contrastare un fenomeno sempre più presente anche nella nostra Società.

È questo argomento di grande valore sociale, che richiede anche sforzi sul fronte educativo, contrastando l’insostenibile onere dello spreco alimentare, sul quale la nostra Federazione ha promosso recentemente la campagna “Love Food, No Waste” di cui il “Rimpiattino” è parte integrante del progetto.

Iniziative che sicuramente non risolvono il problema dello spreco nei consumi fuoricasa, ma rappresentano un necessario minimo segnale di sensibilizzazione da diffondere, contrastando le resistenze culturali o gli imbarazzi individuali.

L’unica vergogna è, infatti, girarsi dall’altra parte, perché se sostenere con i propri (cattivi) comportamenti il “Paradosso dell’Abbondanza” non è mai stato etico, oggi non è più nemmeno, e in alcun modo, sostenibile.

Essere protagonisti di una nuova cultura del cibo, per riprendere il titolo di questa Assemblea, per la nostra Federazione parte da qui, dall’idea di contribuire, per la nostra piccola o grande parte, ad un Paese e, speriamo, ad un mondo, un po’ migliore.

Grazie.

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