Fipe, Sbraga: “per l’estero siamo sempre più attrattivi. +20 miliardi il saldo nel 2023”
12 ottobre, articolo di Maria Lucia Panucci, Business24 – “Ad incidere sui rincari non è tanto la materia prima ma tutti i costi del bar: i prezzi dell’energia hanno visto +250% tra il 2022 ed il 2023. Sui pagamenti digitali puntare su trasparenza e comparabilità”
Il mondo dei pubblici esercizi a 360° gradi: dai consumi, ai rincari dei prezzi, dai pagamenti digitali fino al problema, attualissimo, dello spreco alimentare. Il nostro direttore editoriale Matteo Vallero ha intervistato a tutto tondo Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe-Confcommercio, ospitato negli studi romani di Business24.
Direttore, un bilancio sul fronte delle presenze ma anche della spesa turistica. Quanto gli italiani ma anche gli stranieri hanno speso per mangiare fuori?
«Per fare un bilancio della stagione turistica appena conclusa, anche se non ci sono dati di consuntivo solidi, possiamo dire alcune cose, partendo da due pilastri: nel turismo estivo gli italiani sono prevalenti sugli stranieri, cioè ci sono più italiani che vanno in vacanza rispetto agli stranieri che vengono nel nostro Paese. La seconda valutazione da fare è che il turismo interno, quello degli italiani, è in rallentamento. I dati a disposizione, prendendo i mesi di giugno e luglio su cui ci sono già informazioni solide, ci dicono che c’è un po’ di arretramento così come a settembre. In mezzo c’è agosto dove si prevede un piccolo miglioramento rispetto allo scorso anno, ma sempre grazie al turismo internazionale che è stato il traino di questa estate 2024. Se dovesse chiudersi in pareggio questa estate sarebbe un bel risultato: dal punto di vista dei flussi stiamo recuperando sulla pandemia, ma non siamo ancora ai livelli pre-Covid, e siamo sempre più attrattivi per l’estero. Lo scorso anno abbiamo fatto +20 miliardi di saldo. Ci sono quindi molte luci ma anche qualche ombra, dovute alla congiuntura economica, dovute al fatto che le famiglie italiane stanno ricostruendo i propri risparmi erosi durante la pandemia e poi c’è il rincaro prezzi che ha effetto su propensione al consumo».
Ecco un tema caldo attuale è legato ai rincari nei pubblici esercizi, in primis il caffè al bar (si teme si arrivi a due euro a tazzina). Cosa sta succedendo? Fare colazione al bar e mangiare fuori casa diventerà un lusso per pochi? Come arginare il problema?
«I bar e ristoranti restano un settore accessibile e pop dal punto di vista dei consumi. Sono settori che si rivolgono anche a una domanda interna, non solo turistica. E’ un invito per gli esercenti ad avere sempre un atteggiamento molto attento. Quando l’inflazione rallenta non vuol dire che i prezzi scendono, perché l’inflazione si cumula, significa solo che non ci saranno nuovi aumenti. Se guardiamo ad un periodo ampio, che è il 2021-2024, vediamo che i prezzi di bar e ristoranti sono sotto la linea dell’inflazione generale. Così non è per il settore dei trasporti che ha registrato aumenti spaventosi e per i settori ricettivi, i cui aumenti sono stati importanti, ma che rappresentano un elemento fondamentale per il turismo perché si tratta di decidere dove sostare. Guardando ai dati oggettivi non sono bar e ristoranti il problema dei rincari, mi sento di dire. Noi abbiamo un caffè in Italia che sta mediamente intorno a 1 euro e 20 centesimi, mediamente perché il caffè risente anche dell’economia e potere di acquisto locale, che impatta sulla dinamica dei prezzi. La materia prima ha un impatto non rilevante sulla tazzina ma ad incidere sono tutti i costi del bar: dall’affitto al costo del lavoro, ai prezzi dell’energia che hanno visto incrementi del 250% tra il 2022 ed il 2023».
Pagamenti cashless?
«Abbiamo l’obbligo di accettare pagamenti digitali, in altri Paesi non c’è questo obbligo ma è l’imprenditore che decide se accettare o meno i pagamenti digitali. Spesso alle critiche degli esercenti e commercianti si pensa ci sia la volontà di nascondere comportamenti poco virtuosi. Può anche accadere in alcuni casi, sono 330 mila le imprese sul territorio e non possiamo parlare per tutti, però è vero che, anche secondo la Bce, i piccoli pagano commissioni troppo alte, ci sono giganti del pagamento digitale che dettano legge, ma soprattutto quello che noi mettiamo in discussione non è solo il livello delle commissioni ma anche la trasparenza e la comparabilità. C’è un sistema che non è trasparente e infatti lo scorso anno è stato firmato un protocollo tra le associazioni delle imprese, di cui noi facciamo parte, e i prestatori di servizi di pagamento con l’obiettivo di mitigare i costi della moneta elettronica, sono stati fatti dei pacchetti offerta per nove mesi dove sono state azzerate le commissioni fino a 10 euro, ma abbiamo visto che ci sono ancora intermediari che fanno pagare una commissione fissa sulle transizioni di minor valore. Dobbiamo arrivare alla comparabilità. Sappiamo che dietro i pagamenti digitali ci sono dei costi ma vogliamo che siano resi più trasparenti e soprattutto che i consumatori finali, come quando scelgono un mutuo, abbiano i taeg, indicatori per scegliere quello che più conviene loro».
L’intervista completa a Luciano Sbraga (Direttore Centro Studi Fipe) è andata in onda sul canale 410 del digitale terrestre
Chiudiamo con la transizione digitale che sta rivoluzionando anche il mondo dei pubblici esercizi. Quali le opportunità da cogliere? Quali i rischi? E soprattutto secondo lei come saranno i ristoranti del futuro?
«La tecnologia è uno strumento e non un fine, serve a migliorare le performance anche delle piccole attività e ci sono già degli esempi con delle casse più evolute che fanno anche gestionale per capire cosa si vende di più o di meno. Tecnologia che già entra nelle cucine con i forni connessi, gestiti e manutenuti da remoto, i robot che entrano in alcune sale di ristoranti e possono alleggerire i lavori ripetitivi, lasciando al personale la relazione con i clienti. Ci sono però anche dei rischi perché l’utilizzo delle piattaforme oggi si basa su un rapporto squilibrato tra le grandi piattaforme e una piccola impresa e manca anche qui trasparenza. I motori di ricerca devono essere più chiari nei termini e condizioni e rendere accessibili le informazioni prima di firmare il contratto. Parlando di reputazione digitale, oggi chiunque può fare una recensione, anche chi non ha realmente effettuato l’esperienza. Questo genera una giungla delle recensioni e un vero mercato nero, non va bene, in teoria sarebbe vietato».
A livello lavorativo qual è la situazione sul fronte della natalità/mortalità dei pubblici esercizi?
«Il bilancio presenta sempre un saldo negativo, sono sempre un po’ di più quelli che chiudono, ma è una lettura parziale. Il numero delle cessazioni a cinque anni dall’apertura vede un tasso di mortalità che è ancora molto alto, del 50%. Questo è per una superficialità a cui ci si approccia a questo settore: se sono bravo a fare il caffè, sarò anche un buon manager, non è così. Bisogna colmare il gap della competenza manageriale, oggi abbiamo ancora gestioni affidate al buon senso che non pagano alla lunga, soprattutto per la competezione serrata, ci sono 140 mila bar in Italia. Non è una attività di ripego, bisogna avere le competenze giuste per poterla svolgere, si tratta della gestione di una impresa a tutti gli effetti».
Spreco alimentare, notizia di questi giorni: in Italia cresce del 45% in un anno: come combattere il fenomeno e quali le buone pratiche da usare?
«Siamo molto impegnati sullo spreco alimentare con le nostre campagne: abbiamo lanciato prima della pandemia Il Rimpiattino, che ha due valenze. Il rimpiattare e me lo porto via e anche il nascondino, per superare quella sensazione di vergogna nel chiedere il cibo avanzato. Lo spreco maggiore avviene però nel canale domestico, non c’è cura nelle scadenze, si trascura la conservazione, non si guardano bene le etichette. Su questo stiamo lavorando e pensiamo che il mondo della distribuzione e ristorazione possono fare molto anche dal punto di vista della comunicazione. Bisogna partire dal fatto che non ci sono dati puntuali sulla misurazione dello spreco, che spesso si confonde con il rifiuto. Se si devono fissare dei target bisogna partire da dati certi».
Il cibo, in fin dei conti, sottolinea Sbraga, non è una merce qualunque, è un condensato di valori, culture, e per questo va rispettato e tutelato.