Il lavoro non è una merce
“Il lavoro non è una merce” ha detto il nostro Presidente della Repubblica, ragionando sui valori del Lavoro, in ccasione delle celebrazioni dello scorso 1° maggio. Ecco perché la responsabilità di negoziare e firmare un contratto collettivo del lavoro è sempre una delle funzioni più delicate e impegnative per una grande e seria associazione di rappresentanza degli interessi, datoriali o dei lavoratori.
Proprio questa consapevolezza, quella cioè di trattare non “una merce”, ma la vita delle persone (tanto dipendenti, quanto imprenditori), ha reso il rinnovo del “Contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti dei Pubblici Esercizi, della Ristorazione collettiva e commerciale e del Turismo”, il terzo contratto collettivo di lavoro più applicato in Italia, un passaggio intenso e di grande valore sociale, oltre che di comprensibile soddisfazione.
Con il rinnovo del Contratto di categoria, da una parte si è data una mano concreta sia ai lavoratori, che vedono migliorati i loro livelli retributivi e il potere d’acquisto dei salari, eroso e compromesso dagli effetti distorsivi dell’inflazione. Dall’altra parte, si dà alle imprese un miglior strumento per investire sul loro capitale umano, poiché migliorando retribuzioni, implementando nuove motivazioni professionali e offrendo in generale migliori condizioni di lavoro, avranno la possibilità di tamponare l’emorragia di fuoruscite di personale e favorire un clima di coesione e collaborazione all’interno delle aziende, propedeutico per rafforzare la qualità dei servizi e migliorare la produttività del lavoro.
Il nostro settore da anni lamenta, infatti, un forte problema di attrattività e di carenza di personale in termini quantitativi e qualitativi, e non può più permettersi di rinviare la soluzione dei problemi, che passa anche dal miglioramento delle condizioni economiche per gli oltre un milione di lavoratori dipendenti.
Questo vale tanto più in considerazione di un’altra stagione che si prefigura da numeri record per il turismo italiano, con l’obiettivo di superare i 451 milioni di presenze registrate lo scorso anno, numeri che non possono certo essere sostenuti senza un’adeguata offerta, alimentata da posti di lavoro di qualità.
Da lungo tempo eravamo bloccati in un ciclo di tatticismi, speculazioni o “impazzimenti dei meccanismi che regolano le relazioni industriali” che aveva generato una situazione di“caos calmo dei contratti”-come chiosava
un interessante articolo su questo tema-, terreno ideale per tensioni sociali, disaffezione e dequalificazione del lavoro, interruzione di pubblico servizio e anche di quel famigerato “dumping contrattuale” che genera
concorrenza sleale e, sull’altare di un risparmio di breve termine, sacrifica welfare, sicurezza, qualità e futuro. Un CCNL è per definizione un compromesso tra posizioni spesso in contrapposizione, e il
giusto equilibrio uscito dalla complessa negoziazione è un segnale di capacità di visione, di coraggio, di rispetto verso tutti gli attori, oltre che di grande significato politico, in un contesto
dove si registra anche una profonda crisi demografica e nuovi e diversi atteggiamenti delle nuove generazioni, che rivendicano condizioni lavorative non per forza “migliori”, ma certamente più allineate con i propri valori e
con la qualità della vita.
D’altro canto, la ricerca dell’equilibrio per quanto faticosa è l’unica strada che merita di essere affrontata. O, per usare ancora le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenuto all’Assemblea proprio di Confcommercio-Imprese per l’Italia: “Un contratto di lavoro equilibrato invera diritti e modella, per la sua parte, la società in cui viviamo”.