Mixer mag. 24 – Il girone degli infortuni sul lavoro
Dante Alighieri nel XXVII canto dell’Inferno scriveva “lunghe promesse con atten- der corto” per alludere alla brutta abitudine di fare molte promesse senza poi mantenerle: espressione che oggi sembra attanagliarsi perfettamente alla situazione inaccettabile degli infortuni sul lavoro, che – quasi come in un girone dantesco – si ripropongono da anni sempre con le stesse cause a provocarli. Basti citare l’elenco delle più comuni: la mancanza/carenza dei dispositivi di sicurezza, i comportamenti errati favoriti da cattiva orga- nizzazione del lavoro su tempi, ritmi, stress o incentivi, le procedure non applicate o insuffi- cienti o inadeguate, la mancanza di formazio- ne, informazione e concentrazione nell’esecu- zione dei compiti, il malfunzionamento degli strumenti di lavoro.
La contabilità infortunistica registra una lista impressionante di episodi, spesso mortali, che non possono essere affidati solo alla cronaca, con dichiarazioni di circostanza
o con generici impegni che alimentano solo altra sofferenza nelle persone e nelle famiglie delle vittime, differendo, invece, gli opportu- ni interventi sulle criticità del mercato del lavoro o sulla catena degli appalti e subappalti nelle cui maglie si inceppano tante regole ba- silari della sicurezza sul lavoro.
Il dato dei pubblici esercizi non è grave come in altri settori, anche perché è difficile che tagli, scottature o cadute in cucina o in sala causino episodi di invalidità permanente e addirittura di morte.
Non ci sentiamo tuttavia esonerati dalla riflessione su questo punto. Il tema dalla sicurezza sul lavoro è sintomatico dell’evoluzione im- prenditoriale e civile di un Paese, nonché di un mercato del lavoro autenticamente “sano”.
Laddove, infatti, le misure di sicurezza sono considerate un mero costo (economico, di tempo, di attenzione o di documentazione) e una noiosa formalità e non, invece, un inve- stimento oltre che un dovere, i rischi
sono frequentemente sottostimati, quando addirittura consapevolmente assunti, salvo, poi, quando succede l’irreparabile, piangere, indignarsi, scaricare colpe e responsabilità, almeno fino all’incidente successivo.
Una diversa cultura sulla sicurezza si costru- isce su una rete di responsabilità condivise, chiarendo i ruoli e rafforzando l’attività ispet- tiva. Le stesse Parti Sociali sul tema hanno
precise responsabilità, spesso richia- mate dal Presidente della Repubblica, che so- vente ha parlato di “cultura della prevenzione” e di un necessario “impegno corale.”
Infatti, proprio sul doloroso punto della sicu- rezza sul lavoro la bilateralità può trovare un punto di impegno condiviso affinché ogni singola “persona” in azienda si senta in un certo senso “Responsabile della sicurezza”, non delegando funzioni, non cercando scuse “ideologiche” a quanto accade (attribuendo la colpa generica alle distorsioni del capitalismo o alle inefficienze dello Stato) e nemmeno ac- contentandosi di fermarsi al dolore, alla com- mozione, allo sdegno o alla rabbia di fronte ai casi di cronaca.
Abbiamo tutti delle responsabilità, in partico- lare quella di provare a fermarci a riflettere su questo tema.
La nostra è una società che corre, spesso senza meta. Negli ultimi 4 mesi, 44 ci- clisti professionistici di prima fascia (su circa 400 in attività) sono rimasti fermi a causa di gravi incidenti subiti in corsa: certo, il ciclismo non è una fabbrica o la cucina di un ristoran- te, ma, ovunque, vale nello sport, in azienda e nella vita, la ricerca esasperata del risultato porta spesso a superare la barriera del limite e del buonsenso. Rallentare talvolta, invece,
serve per arrivare molto più lonta- no nel lungo periodo.