Mixer dic. 23/gen. 24 – Fuori Casa e comunicazione: raccontare il valore e i valori
Il Punto di Lino Enrico Stoppani – presidente Fipe-Confcommercio
Recente e lo scalpore suscitato dallo spot di Esselunga, diventato in poche ore anche un caso politico per la scelta di raccontare una famiglia separata nella pubblicità, con un tumulto di sentimenti (e commenti) provocati dalla storia di un’innocente bugia di una bambina, che prova a ricucire con una pesca il rapporto tra i suoi genitori separati.
La pubblicita (ristornando peraltro al marchio committente una visibilita straordinaria) ha animato la discussione pubblica probabilmente piu di quello che avrebbe fatto un tradizionale disegno di legge.
Anche la rappresentanza sindacale non sfugge alla regola dei tempi moderni, che assegna alla comunicazione la possibilita di dettare l’agenda politica, con la conseguenza per cui non basta solo fare, ma bisogna anche saperlo raccontare efficacemente. Se la rappresentanza, quindi, necessita da sempre di una adeguata rappresentazione (attraverso cerimonie, simboli e narrativa), oggi ha bisogno anche di un’adeguata strategia di comunicazione, che si ponga alcuni obiettivi chiari. Il primo e certamente quello di informare del lavoro che viene svolto nell’interesse della categoria; il secondo e quello di rendere partecipi i diversi soggetti a cui la comunicazione e destinata – imprenditori associati, istituzioni, opinione pubblica, media – di valori, risultati, iniziative o esigenze. Infine, il terzo obiettivo di una comunicazione sindacale moderna e quello di tenere traccia di un’identita contribuendo a costruirne l’evoluzione.
‘Non comunicare’ non e infatti un’opzione possibile, laddove anche i silenzi sono una scelta e i vuoti rischiano di essere colmati da strumenti di comunicazione che danno spazio a tutti e a tutto, fake-news comprese. Cio vale tanto piu per la ristorazione: difficile trovare un settore piu ‘comunicato’ del nostro. I quotidiani piu importanti hanno inserti dedicati all’enogastronomia, organizzano veri e propri eventi di approfondimento dei temi di interesse del comparto; le stesse televisioni hanno numerose trasmissioni dedicate alla ristorazione e non si contano i canali tematici, le case editrici specializzate, le guide e le riviste. E, soprattutto, sono i consumatori – nell’epoca dei social network – ad aver reso ‘il cibo’ e i locali oggetti privilegiato di foto, commenti, racconti.
E normale se consideriamo l’importanza del mercato di cui si parla e la pervasivita quotidiana sulla vita delle persone del consumo enogastronomico fuori casa. Spesso pero lo storytelling sulla ristorazione si ferma
spesso solo al primo livello di spettacolarizzazione, accendendo i riflettori sulla parte piu ‘narcisistica’ di imprenditori e consumatori, o facendo prevalere gli aspetti sensazionalistici sul merito, con una distorsione della realta che offusca l’impegno, il sacrificio e i valori di un mondo complesso e articolato, che sulla reputazione costruisce la propria esistenza.
Sono rimasti a proposito emblematici le polemiche estive sui cosiddetti ‘scontrini gonfiati’, il racconto dei mestieri del settore classificati come ‘lavoretti’ e, tornando all’emergenza Covid, l’etichetta affibbiata ai Pubblici Esercizi
quali ‘attività non essenziali’ e, quindi, sacrificabili rispetto alla causa sanitaria di contrasto ai contagi. Fortunatamente, la comunicazione può anche essere d’aiuto. In una recente intervista il bravo attore Pierfrancesco Favino, invitato a commentare la sua interpretazione del Comandante Todaro, uomo di istituzioni e di generosita che con il suo sommergibile affonda navi nemiche, salvo poi recuperare e salvare i naufraghi, osserva che questo tipo di comportamento rientra pienamente nello spirito degli ‘italiani’, “popolo aperto e accogliente che mette al primo posto la vita umana”. E Favino aggiunge in conclusione che “mentre i politici parlavano di blocco navale, i ristoratori di Lampedusa cucinavano per sfamare i profughi”. Questo e un assist che viene da un mondo diverso dal nostro ma fa ampio onore alla categoria, ricordandone il radicato valore sociale e tradizionalmente solidale. Proprio il riconoscimento ‘fuori campo’ deve pero essere anche interpretato come uno stimolo a giocare meglio nel nostro campo, rafforzando la nostra comunicazione per raccontarci meglio: non meglio di quello che siamo, ma dando miglior luce a quello che già facciamo.