Consiglio di Stato: gli “Home restaurant” sono esercizi di somministrazione di alimenti e di bevande
La sesta sezione del Consiglio di Stato si è recentemente pronunciata sulla tematica degli home restaurant. Come noto, trattasi di un’attività che si caratterizza generalmente per la preparazione di pranzi e di cene presso il proprio domicilio in giorni dedicati e per poche persone, considerati come ospiti “personali” ma paganti (cfr. Risoluzione Mise n. 50481/2015) e pubblicizzata anche tramite domini su siti web.
Nelle scorse legislature sono state presentate alcune proposte di legge aventi ad oggetto la regolamentazione dell’attività di ristorazione in abitazione privata; le stesse, tuttavia, non hanno mai completato l’iter procedimentale per assumere il valore di Legge. Ed anche recentemente si sta dibattendo su un’ulteriore proposta normativa che possa definire i contorni di tale attività, specificandone i requisiti e i limiti.
Tuttavia, in attesa che venga effettivamente approvata una chiara e specifica normativa ad hoc, la Federazione ha sempre qualificato tale fattispecie quale “attività di somministrazione di alimenti e bevande”, dovendo quindi risultare soggetta alla medesima normativa di riferimento, ferma restando l’applicazione delle eventuali discipline dettate a livello regionale; tesi avvalorata da importanti statuizioni delle autorità ministeriali competenti (risoluzioni MISE n. 50481/2015 n. 493338/2017 e nota del Ministero dell’interno del 30.01.2019) e della Giurisprudenza amministrativa.
A tale ultimo proposito, come sopra accennato, si segnala una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 02437/2023) che afferma espressamente che l’attività di home restaurant – nel caso di specie consistente nella gestione di un posto di ristoro e somministrazione di alimenti all’interno di un immobile privato e svolto nell’interesse dei soci di un’azienda agricola e di ulteriori clienti occasionali – rientra a pieno titolo nel concetto di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’art. 1 della Legge n. 287/1991. Ad avviso del Collegio giudicante deve quindi trovare applicazione l’art. 3 comma 7 della medesima legge che stabilisce che “le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici”.
Anche quest’ultima pronuncia, pertanto, conferma in sostanza che l’esercizio dell’attività in oggetto implica non solo il rispetto delle norme amministrative che prescrivono la dotazione di un titolo autorizzatorio e la necessità del possesso dei requisiti morali e professionali previsti per la somministrazione, ma anche l’osservanza delle norme sanitarie che impongono la notifica igienico sanitaria e la presentazione di un piano di autocontrollo HACCP, così come quelle urbanistiche e di edilizia di origine comunale. L’unica eccezione è quella relativa alla normativa in tema di sorvegliabilità dei locali di cui al D.M. 17 dicembre 1991, n. 564, ritenuta non applicabile al caso di specie dal Ministero dell’Interno (nota del 30.01.2019 sopra richiamata).
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