Mixer nov. 23 – Mestieri a rischio di estinzione

24 Novembre 2023

L’antropologo David Graeber lo chiamava il ‘senso del lavoro’: il significato soggettivo che ciascuno dà del proprio impegno professionale quotidiano. L’evolversi di questa percezione, negli ultimi anni, complice la pandemia ma non solo, ha portato sempre più persone a personalizzare tutto secondo le preferenze individuali e, quindi, a voler decidere come e quando lavorare, con quali modalità e a quali condizioni economiche.

La conseguenza psicologica, ma – inevitabilmente – anche sociale ed economica, è tuttavia che, se queste aspettative vengono disattese, si tende a considerare il proprio lavoro inutile, con i disvalori che ne conseguono e che si traducono in una mancanza di impegno, mettendo in difficoltà il sistema produttivo e l’economia dei servizi.


Ecco allora che alcuni lavori non sono più accettati e tantomeno ambiti, con il risultato che certe figure professionali sono più rare delle specie in via di estinzione e, quando si trovano, rischiano di non avere alcuna passione, e dunque valore aggiunto, in quello che fanno.

Recentemente, ci è capitato di rappresentare al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, le difficoltà sconfortanti di molte imprese del settore dei pubblici esercizi nel trovare (e trattenere) personale se non qualificato, quantomeno interessato. Il Ministro conveniva che certi mestieri richiedono un supplemento di sacrificio, in particolare per i più giovani, e immaginava la possibilità di una fiscalità perequativa in grado di compensare economicamente le rinunce che certi lavori comportano.


Caso emblematico in tal senso sono gli infermieri negli ospedali, ma pensiamo anche a chi, ad esempio, lavora in una dispersa area di servizio autostradale e che riserva, a chi si ferma anche di notte e nei festivi, un sorriso e un servizio accogliente. Proprio quello che era capitato qualche settimana prima, a notte inoltrata, allo stesso Ministro, che ha commentato raccontandolo: “li avrei abbracciati”. La sua era l’espressione di rara sensibilità di un uomo delle Istituzioni verso persone, sempre meno, che svolgono un’attività per cui non servono anni di studio o certificazioni, lavori per i quali la società non riserva un plauso e una menzione particolare e che non vengono remunerati in base alla gentilezza, grazie alla capacità di mantenere un ‘senso del lavoro’ pieno di dignità, ma che fanno la differenza.


Lo Stato Italiano, con un debito pubblico oltre il 140%, non ha oggi le risorse necessarie per un radicale intervento sul Cuneo fiscale e contributivo, ma un’operazione mirata a sostenere alcuni mestieri di sacrificio personale importante, in termini di orari o logistica e bassa percezione reputazionale, darebbe certo un segnale anche etico, investendo sulla dignità di ogni lavoro.

Il sistema, certamente oneroso ma tecnicamente semplice, consisterebbe nella previsione di una fiscalità premiante per le attività che richiedono sforzi fisici, turni castigati nei giorni di festa e/o nelle notti, sacrifici o rinunce personali, utile non solo per dare valore a questi mestieri, ma anche per evitare che vengano ulteriormente abbandonati, rischiando di far venir meno servizi essenziali per la Società.

Non abbiamo tante alternative se non vogliamo fermare l’emorragia che colpisce i nostri mestieri: o si investe nella tecnologia digitale, ma certe mansioni non si possono (ancora) meccanizzare, oppure vanno offerte nuove prospettive, anche economiche, a chi opera nei delicati e importanti comparti di servizio alle persone.

Le buone politiche del lavoro devono servire anche a questo: a riequilibrare offerta e domanda ma anche a creare nuova consapevolezza, se non per compensare i sacrifici, quantomeno per premiare le scelte meno scontate e un ‘senso del lavoro’ che contrasta l’impoverimento del tessuto sociale del Paese.

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