ASSEMBLEA 2022 – Oltre la crisi: i Pubblici Esercizi alla ricerca di modelli sostenibili
Relazione del Presidente
Il titolo che abbiamo scelto per la nostra Assemblea – “Oltre la crisi” – vale soprattutto comeauspicio, visti i momenti di grave difficoltà che caratterizzano questo momento storico. Più propriamente avremmo forse dovuto usare il neologismo inglese “Permacrisis”, che identifica un prolungato periodo di instabilità e insicurezza, che è esattamente quanto sta pericolosamente accadendo.
Instabilità e insicurezza, dunque, come tratto dominante del contesto: se la confortante ripresa del Turismo è stata un toccasana per l’economia del Paese, la guerra con minaccia nucleare, la strisciante diffusione di nuove varianti del Covid, i costi di materie prime ed energia fuori controllo, il pesante ritorno dell’inflazione, proiettano l’ombra della recessione sul prossimo futuro.
Trovarsi in crisi permanente significa dover sempre prendere decisioni, significa trovarsi sempre costretti a scegliere, significa essere sottoposti ad un notevole stress, individuale e collettivo.
L’invito di questa Assemblea di andare “oltre la crisi” sottintende l’invito all’azione, con il coraggio e la determinazione di assumere nuove e fondamentali scelte che il presente impone, che organizziamo in tre diverse categorie sulla base del soggetto chiamato ad assumerle: la politica e le istituzioni, le imprese e, ovviamente, le associazioni di rappresentanza, come Fipe-Confcommercio.
La responsabilità politica: le scelte delle istituzioni pubbliche
Se tutti concordano che il PIL si costruisce sul lavoro e sulle imprese, capaci di andare oltre le difficoltà, il contesto di riferimento politico-istituzionale fa sempre la differenza.
Il nuovo Governo andrà sicuramente sensibilizzato e pressato sulle tante cose da fare – e la rappresentanza sindacale ha proprio anche questa funzione -, ma andrà anche aiutato per superare le delicate criticità di contesto, recuperando, ognuno per la propria parte, i migliori valori civili e tutta la responsabilità etico-sociale.
Qui con noi oggi c’è il Ministro Adolfo Urso, che rappresenta non solo il nuovo Governo, ma guida un Ministero rinnovato nello stesso nome: il Dicastero dello Sviluppo Economico è diventato, infatti, il Ministero delle Imprese e del Made In Italy. Questa presenza, ben oltre la forma, è un forte segnale non solo di attenzione al nostro settore, ma anche della disponibilità con cui sta interpretando questi primi passaggi del Suo gravoso mandato.
Sappiamo bene che in questo contesto di continua emergenza i bisogni sono immensi e le risorse disponibili purtroppo insufficienti, con l’inevitabile necessità di fare scelte di politica economica, che spettano (ovviamente) al Governo.
Urgenti e necessari rimangono certamente i provvedimenti emergenziali di rafforzamento e di estensione temporale dei crediti d’imposta sui costi energetici, la rateizzazione dei pagamenti delle bollette, la deroga/sospensione di alcuni principi contabili, per esempio quelli che disciplinano gli ammortamenti delle immobilizzazioni e/o i tempi di ripristino del capitale eroso dalle perdite di esercizio.
Un settore come il nostro, uscito dall’emergenza economico-pandemica con un aumentato livello di indebitamento, va inoltre sostenuto con nuovi interventi di sostegno alla liquidità delle imprese, anche con gli strumenti di garanzia pubblica.
I grandi cambiamenti e le innovazioni che stanno caratterizzando questa epoca stanno interessando anche i servizi creditizi e finanziari, generando nuove opportunità, ma anche profonde criticità.
Basti pensare alla scomparsa delle banche del territorio correlata alla concentrazione del sistema bancario italiano, oppure alla disciplina del bail-in o della new dod (nuova definizione di default), a cui si aggiungono tutte le novità intessute di tecnologia nel settore creditizio: dal fintech alla digital-banking, dalle criptovalute alle applicazioni dell’intelligenza artificiale, dal progetto dell’euro digitale alle nuove modalità di crowdfunding.
Tanti cambiamenti che rendono il sistema sicuramente più solido, ma anche più complesso, appesantito anche da una imponente regolamentazione europea, che sta condizionando in termini restrittivi le politiche creditizie del sistema bancario.
In aggiunta, specificatamente sul tema energetico, riteniamo improcrastinabile la definizione di un Piano energetico nazionale, che superi gli ostruzionismi ideologici e l’ipertrofia burocratica che hanno rallentato gli investimenti sulle rinnovabili, la diversificazione delle fonti e dei fornitori, l’implementazione di un “Recovery Fund Energetico” europeo, che corregga anche il perverso meccanismo di determinazione del prezzo dell’energia, sul quale si stanno intravedendo spiragli.
L’azione limitata al solo ambito nazionale non è sufficiente, in un quadro macroeconomico di rallentamento della crescita, che limita e restringe l’azione delle tradizionali politiche monetarie di stimolo e sviluppo, a cui vanno aggiunte le croniche debolezze del nostro sistema Paese.
È infatti evidente la difficoltà di combinare il controllo della finanza pubblica con il reperimento di risorse adeguate a tamponare le urgenze causate dalla crisi energetica e da investire in politiche economiche per la crescita.
Per investire sulla crescita, tuttavia, abbiamo l’opportunità storica del PNRR, che prevede riforme, investimenti e obiettivi che potranno migliorare il Paese e avere un impatto significativo anche sulle sue principali variabili macroeconomiche.
Certo, segnaliamo non senza qualche rammarico, che si è persa l’occasione di investire sul Turismo italiano, da tutti considerato importante per le sue potenzialità e il suo contributo al PIL, ma poi costantemente trascurato quando ci sono risorse da assegnare.
Nel PNRR sono, infatti, previsti per il Turismo solo 2,4 miliardi di euro sugli oltre 221 di stanziamento complessivo, con una dotazione praticamente nulla per la Ristorazione, che mortifica il settore ed impedisce interventi sulle sue lacune strutturali.
Occorrerebbe, invece, superare la visione obsoleta del Turismo, ridisegnandone la Governance, riportandola in una sferadi più efficace coordinamento tra Stato e Regioni, rivedendone i cardini oggi ancorati ai temi dell’accessibilità e della ricettività, investendo sui servizi, che sono il vero tessuto connettivo dell’economia turistica, e in tale ambito “Ristorazione ed Intrattenimento” devono avere ben altra considerazione.
A proposito delle politiche per il turismo, al nuovo Governo toccherà la responsabilità di trovare un’equa soluzione alla questione delle concessioni balneari, bilanciando l’esigenza della concorrenza con la tutela degli attuali concessionari, che -tradotto – significa un adeguato periodo transitorio per la mappatura del demanio marittimo, anche ai fini di una corretta applicazione delle normative europee.
L’utilizzo degli spazi pubblici è tema che, dopo la pandemia, dalle spiagge italiane si è esteso anche alla riqualificazione degli spazi urbani. I nuovi utilizzi dello spazio pubblico impiegati per scopi commerciali, ricreativi, culturali e sportivi, hanno, infatti, rivitalizzato e riacceso città traumatizzate dalla pandemia, grazie anche alla positiva esperienza dei dehors.
Nonostante alcune esternalità negative (dai disagi per i residenti, alla perdita di parcheggi), lo sviluppo dei plateatici è una delle poche eredità positive della pandemia, non solo per la maggiore sicurezza sanitaria che garantiscono, ma anche per il miglioramento urbanistico riversato sulle stesse città, con la rivitalizzazione e riaccensione di interi quartieri, favorendo decoro, sicurezza, animazione e aggregazioni.
È necessario continuare con il riordino della normativa di riferimento dei dehors, semplificata ed agevolata nel periodo dell’emergenza sanitaria, ma gli annunciati provvedimenti amministrativi dovranno considerare il forte contributo rigenerativo e l’impatto sociale che le occupazioni esterne hanno prodotto sulle nostre comunità.
Il riordino della normativa di riferimento è atteso anche dalle aziende multilocalizzate della ristorazione commerciale, rappresentate in AIGRIM, che operano in sede autostradale o aeroportuale, strette tra oneri concessori divenuti insostenibili e una rete inefficiente, con troppe aree di servizio messe in competizione con quote ben superiore alla media europea.
Stessa cosa per le aziende della ristorazione collettiva rappresentate in ANGEM, che da tempo richiedono la revisione della normativa sui contratti pubblici, con disposizioni precise ed univoche in tema di revisione dei prezzi, che l’inflazione ha dimostrato indifferibile.
Se al privato spetta l’iniziativa e il confronto con il mercato, al pubblico compete l’azione regolatoria del mercato, ripristinando i principi di sana e corretta concorrenza ben espressi dalla semplice ed efficace formula: “stesso mercato, stesse regole”.
Su questo punto, in particolare, confidiamo che il Ministro Urso possa finalmente porre i necessari correttivi, vista la competenza sul tema del Ministero che dirige e della sensibilità che ad un dicastero “delle imprese” declinate al plurale non può certamente difettare.
Per provare ad andare “oltre la crisi” va migliorato anche il mercato del lavoro, che oltre alla rilevanza sociale, ha effetti sulla produttività delle imprese, penalizzate anche nella competizione internazionale, da rigidità e vincoli normativi e contrattuali, oltre che da eccessivi livelli di tassazione e di contribuzione.
Infatti, sul Lavoro si sta radicando un triplice problema – culturale, demografico e politico -, che spesso abbiamo richiamato commentando la perdita di occupati nel settore (200mila rispetto al periodo pre-Covid), la pericolosa dispersione di competenze e, in generale, la diminuita attrattività del settore.
Questi problemi non hanno una sola soluzione e si risolvono con un impegno sinergico a doppia mano: pubblica e privata.
La mano pubblica dovrebbe intervenire con vere politiche attive sul lavoro, capaci di riqualificare, innovare e investire sulle competenze – vecchie e nuove -, oltre che orientare i giovani verso percorsi formativi e scolastici che diano prospettive occupazionali.
Inoltre, gli annunciati interventi sul “Cuneo Fiscale” o gli sgravi sugli aumenti salariali darebbero forza e impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali, che interessa anche il nostro CCNL.
A proposito di contratto: la proliferazione dei CCNL e le infinite discussioni sul “Salario Minimo” non sono un segnale positivo, poiché non aiutano né la fluidificazione del mercato del lavoro, né contrastano le condizioni di lavoro inadeguate, né – tantomeno – contribuiscono a creare un welfare di valore.
Le scelte della rappresentanza d’impresa, l’impegno di FIPE
Sul CCNL entra inevitabilmente in campo il ruolo delle Organizzazioni di rappresentanza, sia dal lato datoriale che da quello dei lavoratori.
Il nostro compito rimane quello di ricercare le soluzioni più funzionali e aderenti alle esigenze del settore, di crescita della produttività, di innalzamento delle competenze e di ricerca di strategie, utili alla vita quotidiana di imprese e lavoratori.
Al riguardo, va richiamato lo sforzo della Federazione, con il SILB e ANBC, per dare ai settori che questi rappresentano, portatori di specifiche esigenze organizzative, dignità negoziale, con appendici all’interno del Contratto di categoria, riscontrando i loro bisogni di flessibilità.
Il contratto collettivo non è, però, solo un presidio economico e uno strumento di tutela; è piuttosto un insieme di istituti, relazioni e regole che qualificano il rapporto tra impresa e lavoratore, facendone un percorso di crescita per le Parti e non un’estenuante partita al ribasso, deprimente per le persone e per l’evoluzione del settore.
Da qui deriva la posizione della nostra Federazione, e della Confcommercio in generale, contro il diffuso fenomeno della pirateria e del dumping contrattuale.
Il recente rapporto sul “Dumping Contrattuale” da noi promosso con ADAPT, edito da EBNT e presentato al CNEL, ha censito ben 31 CCNL applicati nel settore e ha evidenziato forti differenze contrattuali.
Se, da una parte, emerge che il nostro CCNL è quello ampiamente più applicato nel settore, dall’altra parte, si registra il diffuso utilizzo della “teoria della sottrazione” nei contratti concorrenti, esercizio che rende questi contratti più convenienti, che tolgono, però, diritti ai lavoratori, spazio alla leale concorrenza, attrattività al settore e valori al lavoro.
Proprio i tempi difficili richiederebbero, invece, che si debba rafforzare la “teoria della somma” nei rapporti con i propri collaboratori, con addendi non necessariamente fatti solo di riconoscimenti economici, ma di valori – umani e professionali – che superino il concetto di “controparte” nelle relazioni con i propri dipendenti, recuperando e rafforzando attenzioni, rispetto, motivazioni, prospettive e sicurezze, quelle che normalmente già si riservano alla clientela.
È un’immagine che sembra astratta, ma che invece raccoglie i bisogni e la necessità di un moderno modello organizzativo, in grado di affrontare i problemi strutturali del settore, dove la diminuita sua attrattività e la persistente debole produttività, devono trovare risposta in un diverso e miglior coinvolgimento dei propri collaboratori, anche intervenendo sulle politiche retributive con quote variabili di retribuzione collegate ai risultati aziendali.
È questa la logica anche dei nostri “Talent Day”, che hanno raccontato lungo tutta l’Italia un modo diverso di concepire il lavoro nei Pubblici Esercizi, più attrattivo per i giovani, più attento alle competenze e agli investimenti sul Capitale umano, più rispettoso delle regole e più gratificante per le stesse imprese.
Il presente sempre più interconnesso grazie all’innovazione digitale, impongono cultura e propensione ai cambiamenti, a partire dalle scelte che riguardano anche il lavoro e la quotidianità.
Il digitale ha impattato, infatti, ogni aspetto della vita, anche con il crescente utilizzo dello smart-working, che ha prodotto una forte riduzione o spostamento della domanda di consumi fuoricasa.
Cambiamenti già evidenti nella distribuzione commerciale, con l’esplosione di piattaforme internazionali, dall’intrattenimento al commercio elettronico, dal delivery alla mobilità, che hanno perseguito legittime strategie commerciali, ma indipendenti dai temi della città, conquistando rilevanti quote di mercato e sollecitando nuove abitudini di consumo, con evidenti trasformazioni sociali, urbanistiche, commerciali e ambientali.
Basta guardare cosa sta accadendo nelle città, dove lo storico modello di socialità e organizzazione urbana, che ha sempre visto protagoniste le nostre imprese, è oggi in crisi e aumenta la desertificazione commerciale, che produce degrado e disagio sociale, contrastato solo dalla crescita della rete dei Pubblici Esercizi, tra l’altro non sempre ordinata.
Lo sforzo della nostra categoria è stato quello di valorizzare la connaturata funzione di rigenerazione e rivitalizzazione urbana che gli esercizi pubblici interpretano, ponendo una supplementare attenzione ai temi della legalità e della sicurezza, minacciati dall’abusivismo dilagante e dal disordine esistenziale che la pandemia ha prodotto.
In questa direzione va interpretato il nostro impegno per contrastare gli abusi e gli eccessi di consumo di alcol, per cui abbiamo ripreso con l’ANM – Associazione Nazionale Magistrati – l’iniziativa “Bevi Responsabilmente” o il contrasto alle ludopatie, grazie al serio lavoro della nostra EGP, che rappresenta e promuove gioco lecito, per il quale una funzione regolatoria che assicuri la qualificazione dei punti gioco autorizzati è la sola garanzia di legalità e di tutela dei consumatori, anche dalle dipendenze patologiche.
Ancora, pensiamo alla tutela della sicurezza di genere oggetto dal progetto “Sicurezza Vera”, promosso con la Polizia di Stato, dove i Pubblici Esercizi rafforzano la loro tradizionale funzione di assistenza e accoglienza, in particolare negli orali serali e notturni.
In questo senso, va certamente ricordato anche l’impegno del SILB per favorire un divertimento sano e rispettoso – delle persone e delle leggi – dentro e fuori le discoteche, rafforzando i controlli e contrastando in ogni modo l’illegalità.
I luoghi dei più giovani, che siano la scuola o le sedi deputate al divertimento, sono luoghi dove è importante imparare anche ad essere cittadini.
Noi sentiamo pienamente questa responsabilità civica, che non si ferma alla porta dei nostri locali, perché sappiamo che non assumersi le responsabilità è il modo migliore per non sentirsi mai in colpa.
Ne siamo talmente consapevoli, che la nostra Federazione aderisce a iniziative internazionali per sostenere gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, per promuovere giustizia, istruzione e lavoro, e per contrastare la povertà, la fame, il cambiamento climatico e, ultimo ma non ultimo, lo spreco.
I dati italiani non confortano, visto che il cibo sprecato in Italia è cresciuto a 9,2 miliardi di euro (674 grammi pro capite ogni settimana, 80 grammi in più rispetto alla precedente rilevazione).
Si sperava che “Expo Milano 2015” innescasse un cambiamento culturale profondo, capace di generare azioni durevoli, al riguardo raccogliendo anche il monito di Papa Francesco che ci richiama il “Paradosso dell’Abbondanza” che caratterizza la nostra civiltà, con un mondo che spreca risorse e un altro, invece, che soffre ancora di fame, sete e malnutrizione.
Se sul riuso e la valorizzazione degli avanzi o delle parti meno nobili dei prodotti si è costruita la straordinaria storia della cucina italiana, altra strada va fatta sulle tecniche di porzionamento, di rotazione e di conservazione dei prodotti, superando anche i persistenti pregiudizi sulla surgelazione e congelazione, testimoniati dal mantenimento dell’anacronistico obbligo dell’asterisco nei menu per i prodotti abbattuti, che alimenta sprechi e disinformazione.
Sullo spreco la nostra Federazione ha promosso il “Manifesto della Ristorazione Sostenibile”, che è essenzialmente un decalogo anti-spreco e, poi, il “Rimpiattino”, la versione italiana della “doggy-bag”, che rappresenta un responsabile segnale di educazione e di sensibilizzazione, che va oltre le resistenze culturali o gli imbarazzi individuali.
L’unica vergogna è quella di girarsi dall’altra parte, perché se sostenere con i propri (cattivi) comportamenti il “Paradosso dell’Abbondanza” non è mai stato etico, oggi non è più nemmeno sostenibile.
Non sprecare, dunque. Non sprecare cibo. Non sprecare la crisi. Non sprecare energia.
La crisi energetica impone, infatti, di fare oggi cose che potranno servire anche domani, come la riduzione e l’efficientamento dei consumi e la riduzione dei costi, che porta benefici economici e vantaggi ambientali.
La Federazione promuove il risparmio energetico nei Pubblici Esercizi, con il suo decalogo di azioni e comportamenti virtuosi, replicando uno schema già praticato su altre partite: lo spreco alimentare, la raccolta differenziata, lo smaltimento degli olii esausti, l’utilizzo di imballaggi riciclati, il recupero del vetro.
Sappiamo d’altra parte che risparmiare non basta quando le criticità diventano travolgenti.
Il successo dell’iniziativa “Bollette in Vetrina” da noi promossa, ha testimoniato il grado di sofferenza delle nostre imprese, chiamate a sopportare rincari spaventosi, che stanno distruggendo marginalità e ponendo seri e nuovi problemi di sostenibilità economica.
La sostenibilità economica è, infatti, sempre essenziale, soprattutto quando riesce ad unire e a declinare le sue derivate di natura sociale ed ambientale, che aggiungono responsabilità ed etica alle scelte imprenditoriali.
Le scelte delle imprese: trasformare la crisi
I nostri imprenditori si sono trovati a fare scelte complicate e pur piegati dai drammi e dai danni del Covid, sono ripartiti con grande slancio, nuovi entusiasmi, rinnovate motivazioni.
Sono ripartiti dal bisogno, certo, ma nondimeno dalla voglia di fare. Infatti, dietro questa eccezionale reazione ci sono certamente interessi e necessità economiche, ma anche la determinazione degli imprenditori nel recuperare i valori del lavoro, gettando il cuore e la testa oltre l’ostacolo, rigenerando energie, motivazioni, responsabilità, ambizioni e passioni, condividendo i risultati con le loro famiglie, i loro collaboratori, le loro comunità.
È una riflessione che può apparire retorica, vista la gravità del contesto, ma “oltre la crisi” per noi significa richiamare la capacità di adattamento e la propensione al sacrificio di chi fa impresa,obbligato a contrastare il patologico crinale di sfiducia, con la costante ricerca di una luce anche nelle tenebre e costretto a credere nel lavoro per superare ogni ostacolo, con l’ottimismo della volontà, rigeneratore di speranze e nuove energie.
Se è, quindi, evidente che le bollette non si pagano con i valori, è però altrettanto evidente che senza principi, senza idee, senza progetti e senza l’inquietudine del fare, difficilmente si può pensare di proiettare il sacrificio di oggi in un futuro che valga la pena di costruire.
E – del futuro – ci si deve occupare oggi, creando le condizioni utili a favorire la creazione e la distribuzione di nuovo benessere, ricercando anche modelli sempre più sostenibili.
I temi della sostenibilità nella loro triplice declinazione -economica, sociale ed ambientale – non sono mai stati usati, forse anche abusati, come in questo momento storico, e lo saranno sempre di più, non solo perché la situazione è ulteriormente peggiorata, ma anche perché è cresciuta la consapevolezza, la sensibilità ed anche la responsabilità su queste tematiche.
E ne abbiamo voluto fare la seconda parte del titolo di questa Assemblea per un motivo preciso. Noi sosteniamo che in questa fase storica, sia prioritario salvaguardare la sostenibilità delle imprese, che producono beni, offrono servizi, sviluppano innovazione e progresso, generano reddito e distribuiscono benessere e ricchezza, coniugando gli interessi dell’imprenditore con gli obiettivi di bene comune.
La forma di sostenibilità che abilita e rende possibili anche le altre è, però, quella economica, condizionata da fattori esterni alle aziende – di natura politica, sociale, culturale o di mercato – e fattori interni, collegati alle competenze, ai sistemi organizzativi o ai modelli di business.
La combinazione tra questi fattori determinano i momenti delle imprese, che alternano fasi di crescita, con altre di difesa delle posizioni o di sofferenza economica ed al riguardo è facile, purtroppo, constatare in questa congiuntura una pluralità di coincidenze sfavorevoli che rendono difficile fare impresa, soprattutto in settori ad alta competitività come la Ristorazione e, più in generale, i Pubblici Esercizi.
La crisi ha evidenziato la storica debolezza del settore, che non sta solo nelle dimensioni aziendali e nella frammentazione dell’offerta, che per certi versi rappresentano peraltro la sua forza, quanto piuttosto nella sottocapitalizzazione delle imprese e che spiega, con l’improvvisazione, la sua alta mortalità e la difficoltà ad assorbire le turbolenze economiche.
La produttività del settore, storicamente fragile e indebolita anche dagli effetti collaterali dell’emergenza sanitaria, sta trovando nel “caro energia” una nuova e insostenibile difficoltà, che rischia di finire l’opera demolitrice della pandemia.
Se le condizioni di contesto hanno, quindi, sicuramente impatto sulle fortune delle imprese, la ricerca della sostenibilità economica richiederà, però, sforzi organizzativi e capacità di innovazione anche da parte degli stessi imprenditori, per intercettare appunto i cambiamenti che la pandemia, la crisi energetica, l’innovazione tecnologica, la stessa carenza di manodopera o le nuove sensibilità sui temi ESG hanno prodotto, modificando modelli di consumo e stili di vita.
Suggerire scelte imprenditoriali non è il lavoro principale di un’Associazione di categoria, che ha, però, tra le tante altre responsabilità, il dovere di provare a correggere la “miopia del futuro” come la definisce il neuroscienziato Antonio Damaso, malattia che porta a “sbiadire il domani” e che colpisce anche chi fa impresa, soprattutto nelle difficoltà, che si manifesta come comprensibile mancanza di iniziativa, di creatività e di idee, a causa di preoccupazioni, paure, debolezze, sensi di colpa, errori o solo alibi, che rischia di spegnere nel tempo anche le imprese.
Le crisi incessanti, invece, impongono una terapia d’urto contro la rassegnazione e l’arrendevolezza, perché c’è sempre una soluzione ad ogni problema e dentro le crisi vanno ricercate anche le opportunità.
È in momenti come questo che diviene tanto più necessario ripensare ai modelli di offerta, con interventi sui processi, sulla logistica, sugli orari e i tempi di servizio, sulla organizzazione e gestione del personale, sulla determinazione dei prezzi, sulla composizione dei menu e le modalità di servizio, sulla stagionalità e tipicità dei prodotti, sulla ricerca di ricavi aggiuntivi, con il potenziamento di nuove linee di business, come il food-delivery, l’asporto, il migliore contributo della carta dei vini e altre migliorie commerciali che un bravo imprenditore deve saper capire da solo.
Nessuno può risolvere per noi il tema della bassa marginalità, che a sua volta nasce dalla difficoltà di associare il prezzo al valore dell’offerta, che impedisce di trasferire correttamente sui listini le dinamiche dei costi e le aspettative di profitto, solo in parte spiegata dal forte livello concorrenziale del settore e dalle patologie che la legislazione ha prodotto.
La crisi ha, infatti, confermato l’importanza della dotazione degli scudi protettivi di natura patrimoniale, da rafforzare sulla qualità dell’offerta, coerente, però, con politiche di prezzo e obiettivi di profitto che consentano di guadagnare, risparmiare, investire e compensare i grandi sacrifici che le nostre attività richiedono.
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Abbiamo aperto questo intervento assembleare parlando di scelte, le scelte della politica, concludendo con quelle delle imprese e degli imprenditori. In mezzo, il nostro lavoro associativo, cinghia di trasmissione (come le chiama il nostro Presidente Sangalli) tra interessi, bisogni e prospettive.
Sentiamo forte, quindi, la responsabilità di sostenere il settore ad andare “oltre la crisi”, partendo dalle tante questioni aperte e guardando al futuro, che in fondo non è altro se non il presente che cresce.
Per farlo al meglio, dobbiamo sforzarci di “rimettere a fuoco” le caratteristiche del settore, descrivendone lucidamente le fragilità (adoperandoci nel contempo per superarle) e valorizzandone gli straordinari meriti, l’affascinante storia e le moderne potenzialità, affinché le nuove generazioni ne capiscano il senso e il valore.
Per questo siamo convinti che partire dalle domande, declinarle al futuro e coinvolgere i giovani nelle risposte, sia il vero spirito del tempo che viviamo, da saper interpretare con passione, anche sindacalmente, come cercheremo di fare.
Grazie a tutti.