Il cibo è cultura – Assemblea #Fipe2018
ASSEMBLEA 2018 “Il Cibo è Cultura” Relazione del Presidente Lino Enrico Stoppani
L’Assemblea 2018 della Federazione cade in un momento particolarmente delicato per il Paese, con una nuova Governance politica che si sforza di accompagnare “il cambiamento”, termine con il quale ha voluto definire il suo progetto politico, scontrandosi con la realtà fatta di numeri, regole, vincoli, interessi e resistenze che creano evidenti difficoltà.
E’ dunque un momento che richiama tutti, corpi intermedi compresi, come dice il Presidente Sangalli, ad un supplemento di responsabilità.
E’ necessario mettere il bene collettivo davanti ad interessi particolari e personali, promuovendo e sostenendo un progetto di appartenenza, di coesione e di sviluppo duraturo del Paese.
Si ha talvolta l’impressione che l’ideologia prevalga sulle idee, come testimonia il progetto di legge sulle chiusure domenicali, che appare nella sua formulazione difficile da comprendere, perchè non considera le mutate esigenze dei consumatori e il diverso contesto competitivo.
Noi riteniamo che in questo Paese serva meno assistenzialismo e più libertà di impresa, con regole uguali per tutti e una maggiore dignità, per lavoratori ed imprese.
La dignità vera, però, quella che non si determina per decreto, ma che deriva dalle possibilità di lavoro offerte dal tessuto sano delle imprese, che riescono a generare marginalità e ricchezza, da distribuire, anche a favore dei lavoratori.
La situazione richiede politiche economiche finalizzate ad assicurare il mantenimento di condizioni di sostenibilità del debito pubblico, a stabilizzare le fluttuazioni cicliche dell’economia, a sostenere la crescita, a dissipare le incertezze sulla partecipazione convinta dell’Italia all’Unione Europea e alla moneta unica che alimentano la volatilità sui mercati finanziari e tensioni sullo spread, mettendo in pericolo i risparmi delle famiglie e la tenuta degli investimenti delle imprese.
Percorrere la strada delle riforme strutturali è necessario e, allo stesso modo, impegnativo, perché i risultati maturano lentamente ed è una priorità evitare che si deteriorino le condizioni di finanziamento degli investimenti a causa dei più alti tassi di interesse, anche sul debito pubblico.
Il divario tra l’Italia e gli altri paesi con cui compete non si colma con una espansione del debito pubblico ma intervenendo sulla bassa produttività delle imprese, che scontano una fiscalità punitiva, un costo del lavoro gravato da oneri e costi aggiuntivi e un forte ritardo nell’innovazione tecnologica.
L’Italia ha anche un problema demografico, con un forte invecchiamento della popolazione, un tasso di partecipazione al lavoro più basso rispetto ai suoi competitors, conoscenze e competenze spesso inferiori rispetto agli altri Paesi, con un frequente disallineamento tra le competenze richieste e quelle disponibili, e una pubblica amministrazione poco efficiente che trasferisce negatività anche sulle condizioni di fare impresa.
Certamente, l’aver confermato la disapplicazione delle clausole di salvaguardia sull’I.V.A., per la quale si è molto speso il Presidente Confederale, evitando una gelata sui consumi, quantificata dall’Ufficio Studi di Confcommercio in 12,5 miliardi di euro, è stata una cosa utile per i nostri settori, merito da ascrivere a questo Governo.
Altri provvedimenti, invece, lasciano perplessità, come gli interventi sul “Reddito di Cittadinanza” e la revisione della “Legge Fornero”.
E proprio partendo dall’osservatorio di economia reale offerto dal nostro settore, come non pensare agli appesantimenti sui “Contratti a tempo determinato” che hanno penalizzato la flessibilità organizzativa delle imprese, al mancato ripristino dei “Voucher” anche per il nostro settore, al “Decreto Rider”, in discussione al Parlamento, che riformula il concetto di lavoratore subordinato, con un’accezione talmente ampia e di difficile interpretazione che provocherà contenziosi e vertenze di cui non c’è bisogno.
Al di là dei singoli provvedimenti, però, ci sono anche due fattori – tornando al tema di oggi – di natura “culturale, che diventano economici quando guidano le scelte.
Il primo è collegato al concetto di “Ricchezza”, quando non viene più considerata dal punto di vista della sua produzione, cercando, quindi, di favorire investimenti, capitalizzazione delle imprese, rispetto del giusto rapporto profitto/rischi, ma da quello della sua mera distribuzione, indipendentemente, cioè, dai meriti, dai rischi assunti e dai contributi offerti alla sua produzione.
E’ un messaggio che ci sembra diseducativo, perchè allontana dall’etica del dovere, del fare, del sacrificio e della dignità, che sono i fattori essenziali del lavoro.
Distribuire risorse con attenzione alla fasce più deboli della popolazione rientra certamente tra i doveri e i principi dello Stato Sociale, ma virare, pericolosamente, verso l’assistenzialismo impoverisce soprattutto i più giovani.
La vita si costruisce, infatti, investendo sulla propria persona, studiando e lavorando seriamente, considerando i valori del risparmio e dell’impegno quotidiano e non confidando sul facile accesso ai trasferimenti dello Stato, come comodo elemento di sussistenza.
E così la ricchezza – prodotta e non sfruttata – diventa anche un bene più ampio, esistenziale e quindi realmente sociale.
Collegato c’è, quindi, il secondo concetto, che riguarda il modo di affrontare il confronto politico, istituzionale e relazionale, a tutti i livelli, dove è diffuso un infestante che mina, alla base, i meccanismi della società e della democrazia.
E’ il livore.
Il livore che inquina il Paese, che alimenta contrapposizioni e divisioni, che allontana la soluzione dei problemi, che alimenta cattivi esempi e danni reputazionali.
L’avversario è sempre considerato un nemico, da colpire e maltrattare a prescindere dagli interessi e dalle ragioni in discussione, spesso scadendo nella maleducazione e nella cattiveria.
C’è bisogno di ripristinare rispetto verso le persone e le Istituzioni, e la buona educazione non deve essere considerata un elemento di debolezza, ma uno dei valori sui quali avviare il confronto leale sui problemi e sulle cose da fare.
Il decadimento del Paese sta anche nel deterioramento di questi valori, che hanno caratterizzato la sua storia secolare, che vanno recuperati e rilanciati, se vogliamo dare prospettive all’Italia.
Prospettive e buoni esempi.
Il 2018 è un anno particolarmente importante per il nostro settore, dal punto di vista sindacale e simbolico.
Sindacalmente, lo scorso febbraio abbiamo sottoscritto, dopo un percorso lungo quasi 5 anni, il primo CCNL “Per i dipendenti dei Pubblici Esercizi, della Ristorazione Commerciale e Collettiva e del Turismo”.
E’ doveroso rinnovare il ringraziamento, sia ai nostri imprenditori, per aver accettato il sacrificio economico degli aumenti salariali riconosciuti nonostante un contesto ancora molto complicato, che alle Organizzazioni Sindacali, per aver saputo comprendere anche le esigenze delle imprese, sui temi della flessibilità e produttività.
Abbiamo, per la prima volta, un Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro espressamente dedicato al nostro settore, cucito sulle caratteristiche delle nostre 300.000 imprese, che interessa oltre 700mila lavoratori dipendenti del comparto.
Dal punto di vista simbolico, il nostro settore è stato richiamato ad un rinnovato protagonismo nel momento in cui il Governo ha proclamato il 2018 “Anno nazionale del cibo italiano”, con l’obiettivo di rafforzarne le sue trasversali funzioni: economica, ambientale, nutrizionale, sociale, etica e anche culturale.
Come ricordate, ci eravamo lasciati nel novembre del 2017, con un’Assemblea onorata da una visita a Sua Santità Papa Francesco, dedicata “Alla persona al centro della buona economia”, dove avevamo affrontato la dimensione umana e sociale del Lavoro, riprendendo i valori etici dell’Impresa.
Dopo il Santo Padre era francamente difficile fare meglio, ma abbiamo deciso di gettare un ponte ideale tra le due Assemblee, tra persona e cultura, cavalcando così l’anno forte del cibo italiano e provando anche a sfidare tanti luoghi comuni.
Fipe ha così deciso di dedicare quest’anno la sua Assemblea al binomio “Cibo e Cultura”, perché convinta che, nella misura in cui riesce ad allargare lo sguardo, oltre, cioè, agli aspetti economici o più tradizionali di un elemento essenziale della vita dell’uomo, come è il cibo, si migliora anche la sensibilità e la considerazione verso un settore come quello dei “Pubblici Esercizi”.
Troppe volte, infatti, il settore non è adeguatamente considerato, non solo per colpe proprie, ma anche per la difficoltà a comprendere gli annessi e connessi di attività di profonde e trasversali relazioni e interconnessioni, che sono radicate e permeate anche di valori storici, antropologici, etici, sociali, spirituali e culturali.
Nelle tradizioni gastronomiche si legge il DNA di un popolo: è cultura stratificata nei secoli, che ha individuato e generato ingredienti, piatti o ricette, che esprimono temperamenti, inclinazioni, contaminazioni sociali ed etniche.
Dai nomi ai gesti, gli usi e le consuetudini alimentari diventano ritualità, religione, arte, scaramanzia, persino linguaggio se pensiamo a quanti modi di dire che si ispirano al cibo è piena la nostra bellissima lingua italiana.
Per “pane al pane, vino al vino”, il cibo è un atto individuale, che racconta, però, anche una storia collettiva.
Ma non solo, il cibo è anche motore di cambiamento.
Per esempio, la “Great Famine” irlandese (1845-1849) che ha provocato carestie e morti a causa di una malattia della patata, ha dato avvio alla grande emigrazione dall’Irlanda verso il Nord America e rafforzato il nazionalismo che ha portato alla sua indipendenza dal Regno Unito, ridisegnando la storia e i confini dei paesi anglosassoni.
Il legame tra cibo e la storia, e quindi la cultura di un popolo è, insomma, un fatto universale, ancestrale e anche elementare.
In Italia lo è ancora di più, forse al massimo livello nel mondo, e il cibo contribuisce a definire quella che Piero Bassetti ha definito “Italicità”.
“Cade a fagiolo”, il grande chef Paul Bocuse – scomparso lo scorso febbraio quasi in contemporanea con il nostro Gualtiero Marchesi – quando affermava, già 30 anni fa, che la cucina francese avrebbe perso la sua leadership internazionale quando i cuochi italiani si sarebbero resi conto del patrimonio di ingredienti e di ricette di cui dispongono.
A proposito di Gualtiero Marchesi, grazie alla sua Fondazione e all’impegno intelligente di ENIT, attivata da Fipe, è stato promosso un World Tour, con tappa nelle principali capitali, per promuovere il Patrimonio della cucina italiana nel mondo, progetto al quale hanno aderito i suoi più bravi allievi, oggi stelle della ristorazione internazionale, che ne saranno gli straordinari interpreti.
Un Patrimonio ricchissimo il nostro, con radici storiche che si perdono nel tempo e che permettono una differenziazione unica, frutto di una straordinarietà geografica e di una capacità di elaborazione tutta italiana.
Riprendere e rafforzare questi legami non significa solo ribadire o rafforzare il ruolo della rappresentanza del settore, ma significa prendere consapevolezza di quanto il cibo sia parte integrante del nostro passato e una parte fondante del futuro del nostro Paese.
Un asset strategico, non sempre compreso a fondo, spesso svilito a secondario fenomeno di costume o nobilitato solo per un segmento della filiera che lo sostiene.
Infatti, molto spesso, si identificano i temi dell’accoglienza come argomenti di esclusivo interesse degli alberghi, oppure quelli collegati all’alimentazione come di pertinenza della sola agricoltura, sottovalutando la funzione fondamentale della ristorazione, anche come strumento strategico nella valorizzazione e promozione della nostra offerta, turistica e agro-alimentare.
I Pubblici Esercizi sono, infatti, la qualificata rete di valorizzazione e trasmissione di questo Patrimonio.
E’ questo il messaggio che vogliamo trasferire ai nuovi responsabili politici, con la richiesta di garantirne uno sviluppo attento alla qualità dell’offerta, che impone un quadro di regole in grado di favorire concorrenza leale fra i diversi operatori, partendo dal principio “stesso mercato, stesse regole”.
La prima regola che normalmente si applica ai patrimoni aziendali è quella della massima valorizzazione del capitale investito; se si ha un asset di valore, si cerca di sfruttarlo per ricavarne il massimo rendimento.
Ma la “cucina” del Paese, che sono i nostri Pubblici Esercizi, non viene utilizzata al pieno delle sue potenzialità.
Lo dimostrano una serie di esempi, prova di un problema strutturale di approccio al settore.
L’eccesso di offerta derivata dalle liberalizzazioni che ha permesso a tutti di fare tutto, con il risultato di una evidente e strisciante dequalificazione che impoverisce il settore, i tassi di mortalità, soprattutto delle nuove imprese, superiori nei 5 anni al 70%, il rischio delle infiltrazioni malavitose, la diffusione delle malattie alimentari, le patologie dell’alcolismo, della mala-movida, sono evidenze di un indebolimento del comparto.
Certo non aiuta la mancanza di prospettive certe, come il caso degli stabilimenti balneari, che rimangono nella drammatica situazione di non avere un quadro normativo di riferimento, con l’irrisolta questione della Direttiva Bolkestein e l’imminente termine (nel 2020) delle loro concessioni demaniali.
Stessa cosa per le Case da Gioco, con le difficoltà che interessano due Casinò (Campione d’Italia e Saint Vincent), per le quali andrebbero valutati interventi di sostegno e di ridefinizione del loro modello di business, se il contributo da loro offerto come elementi di attrazione turistica e generatori di gettito fiscale, oltre che oasi di gioco lecito, avesse ancora una funzione, come sembra, indipendentemente dalle valutazioni di merito, che rispondono, però, a sensibilità molto soggettive.
Anche i meccanismi delle gare di appalto pubbliche per la ristorazione, consolidatasi sui criteri del massimo ribasso rispetto al prezzo di base d’asta, generano conseguenze perverse, danneggiando fasce deboli della popolazione, come i malati negli ospedali e i bambini delle scuole.
“Come ciliegina sulla torta”, stavolta avvelenata, emblematico è il disastro provocato dalle gare Consip per i buoni pasto per la Pubblica Amministrazione, che ha portato al fallimento di Qui!Group, con oltre 23.000 imprese coinvolte ed un debito di oltre 320 milioni di euro, favorito da tante mancanze, anche della stessa Consip, che non solo ha stressato le condizioni di offerta economica, ma che, contemporaneamente, non ha vigilato come noi avremmo voluto sul corretto adempimento dei vincoli contrattuali di gara assunti dall’aggiudicatario.
La lista delle anomalie sarebbe lunga, frutto della mancanza di una visione strategica e complessiva del mercato, considerando anche il forte valore sociale dei Pubblici Esercizi.
Infatti, i locali pubblici sono luoghi di aggregazione dove le persone si incontrano, si conoscono, si confrontano e dialogano, coltivando relazioni sociali e valori che hanno nell’ascolto, nell’amicizia, nella condivisione e nel rispetto, elementi utili e premianti per coltivare “umanità”, fondamentale per crescere una società giusta e preferibilmente migliore.
Ecco il ponte con la persona di cui abbiamo parlato nell’Assemblea dello scorso anno.
Proprio questa ricerca della convivialità e delle relazioni è l’espressione di uno stile di vita che caratterizza la nostra civiltà, che si è nel tempo consolidata, adattata ed è stata anche esportata, rafforzando l’identità di comunità che crescono e migliorano nelle relazioni che si fertilizzano anche nei luoghi di incontro come i Pubblici Esercizi.
Il sistema dei Pubblici Esercizi e di attività che dilatano l’uso del tempo, come i locali di intrattenimento serali e notturni, presenti in modo capillare nel nostro Paese, rappresentano i tratti distintivi di un marchio territoriale e di ospitalità che non può mancare in un sistema turistico competitivo.
Sui pubblici esercizi intervengono numerose competenze ministeriali, che rischiano spesso di non essere coordinate o di sovrapporsi: dal Ministero delle Politiche Agricole al Ministero degli Interni, dal Ministero della Salute, al Ministero dell’Economia e Finanze; siamo competenza di tutti, con l’evidente constatazione di non essere competenza di nessuno in quanto a responsabilità.
Colpisce che in altri Paesi, Francia soprattutto, o nella stessa Danimarca, certamente meno dotata di noi dal punto di vista eno-gastronomico e culturale, si sia sentita la necessità di valorizzare la Ristorazione, con un piano strategico direttamente promosso dal Governo.
Crediamo pertanto che un processo di riorganizzazione delle norme che interessano il nostro settore non sia solo necessario, ma anche doveroso.
Non vogliamo cadere nel vittimismo che è tanto diseducativo quanto inconcludente, rimuginando su quei provvedimenti che non hanno fatto bene al settore, dal mancato sostegno nei “Distretti del Cibo”, alla valorizzazione dei prodotti locali, agli incentivi fiscali per l’ammodernamento delle strutture che escludono costantemente le imprese della ristorazione, a meno che non cadano sotto l’ombrello della ricettività o dell’agricoltura.
Se sono solo ristoranti, non sono meritevoli di sostegno, se sono, invece, ristoranti d’albergo o d’agriturismo, si.
Al riguardo, tra l’altro, non siamo d’accordo, e con noi i Comuni, ai provvedimenti di alcune Regioni che consentono agli alberghi di aprire ristoranti anche ai non alloggiati, in deroga ai vincoli sui centri storici.
Così si indebolisce una delle tre “S” del modello standard di offerta richiesto a livello internazionale, tradotto in “Seat, Site and Service”.
“Non si fanno, infatti, i conti senza l’oste”, perché se non costituiscono più un problema i mezzi di trasporto (Seat), né le strutture ricettive dove alloggiare (Site), è sul sistema dei servizi (Service) che si sviluppa la competizione e un territorio che sconta carenze su questo fattore, anche per la debolezza della sua offerta ristorativa, non adeguatamente interconnessa con il resto dell’offerta, porta ad inefficienze complessive, che incidono sulle presenze e gli indici della stessa occupazione alberghiera.
“Non vogliamo piangere sul latte versato” però e, per questo, proponiamo al Ministro Centinaio, nella sua duplice funzione di responsabile dell’Agricoltura e del Turismo, di farsi promotore di un tavolo di concertazione sui Pubblici Esercizi e la Ristorazione italiana, con il compito di ascoltare le principali istanze del settore e ricercare le soluzioni che possano aiutare i nostri imprenditori a contribuire maggiormente alla crescita del Paese.
Ogni giorno milioni di italiani e di turisti entrano in un ristorante o bar di una stazione, di un aeroporto, di un’autostrada o di tante strade o piazze delle nostre città.
Allo stesso modo, tanti altri soggetti, invece, utilizzano i servizi offerti dalle società di catering e banqueting, che si costituiranno proprio oggi in Associazione di categoria in Fipe, dimostrando che, in un momento di difficoltà come l’attuale, c’è chi crede ancora nei Corpi Intermedi.
Ogni giorno l’Italia è più Italia grazie ai caffè, ai piatti, ai gusti, intorno ai quali si costruiscono giornate, decisioni, identità.
Ogni giorno il cibo aggiunge un pezzo alla nostra cultura e la cultura prende ispirazione e nutrimento dal nostro cibo.
E con la cultura, come diceva qualcuno, forse non si mangia, ma la cultura si mangia.
Perché è cibo, è storia, è vita, che oggi cercheremo di raccontare insieme.
Grazie.
Lino Enrico Stoppani
Roma, 15 Novembre 2018