L’AGRITURISMO È UNA RISORSA DEL TERRITORIO SE RISPETTA LE REGOLE
Secondo la FIPE ristoranti e agriturismi devono essere complementari e non in concorrenza
Il “vero” agriturismo è una risorsa del territorio, ma deve rispettare le regole e non porsi in concorrenza con le attività di ristorazione, che hanno altre caratteristiche e peculiarità: questa la posizione della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) del Veneto, che interviene in merito alla richiesta delle associazioni agricole di modificare la legge regionale sull’agriturismo.
«Il rispetto delle regole è fondamentale» conferma il Presidente regionale dell’Associazione Erminio Alajmo, che rappresenta in regione circa 13.000 imprese, di cui la metà ristoranti e trattorie.
«Non siamo contrari alle attività agrituristiche – precisa Alajmo – purché svolgano il loro lavoro secondo i dettami della legge».
Legge (la n. 28/2012) contro cui le associazioni degli agriturismi stanno dando battaglia, chiedendo di abbassare la quota di “prodotto proprio” che gli agriturismi devono utilizzare per la realizzazione di pasti da somministrare ai clienti, attualmente fissata al 65%.
«Bisogna pensare – prosegue il Presidente Alajmo – all’attività di ristorazione agrituristica come momento di offerta e valorizzazione del proprio prodotto agricolo, e non come un’attività commerciale di ristorazione, svolta spesso in aperta concorrenza con le nostre imprese. Quante volte vediamo gli imprenditori agricoli fare la spesa al mercato o presso gli stessi centri all’ingrosso dove ci rivolgiamo noi ristoratori? Non dimentichiamo che l’agriturismo nasce come un’attività di sostegno o integrazione al reddito agrario e non come attività di somministrazione autonoma e a sé stante. Se venisse abbassata la percentuale di prodotto proprio somministrato, il cliente, che pensa di consumare un pasto realizzato prevalentemente con prodotti tipici dell’azienda, finirebbe invece per trovare sul piatto prodotti acquistati da soggetti terzi».
I ristoratori precisano inoltre che la legge regionale, tanto contestata dalle associazioni agricole nella parte relativa alla quota di prodotto proprio, ha invece concesso enormi aperture per quanto riguarda i posti a sedere.
«Nessuno dice – sottolinea Alajmo – che prima del 2012 i posti a sedere potevano essere al massimo 80, mentre adesso il numero è fissato dal piano agrituristico aziendale, in pratica è lo stesso agricoltore che decide quanti clienti può ospitare all’interno del suo pseudo-ristorante».
Non a caso il presidente degli esercenti usa la parola “ristorante”: secondo la FIPE tante volte è difficile distinguere un agriturismo da un vero e proprio ristorante, in quanto non vengono rispettate le tipicità del prodotto.
«In tanti agriturismi – conferma Alajmo – si è persa la connotazione dei piatti semplici, fatti con i prodotti propri, il vino locale e i dolci della tradizione… magari finendo per cenare a base di pesce in mezzo alle montagne del bellunese!».
Insomma sembra che non possa esserci pace tra ristoranti e agriturismi.
«La pace c’è – conclude Alajmo – se ognuno rispetta il proprio ruolo: noi ristoratori siamo aperti tutti i giorni dell’anno, diamo lavoro a centinaia di migliaia di persone e con il nostro indotto muoviamo l’intera economia del territorio, senza beneficiare dei tanti privilegi fiscali e contributi a fondo perduto di cui godono gli agriturismi. Stesso mercato, stesse regole: se un agriturismo vuole avere più libertà d’iniziativa, utilizzando i prodotti a proprio piacere, può trasformarsi in ristorante o trattoria e competere alla pari con i pubblici esercizi».
27-11-2015