AGENDA FIPE

29 Gennaio 2013

Nella prospettiva di valorizzare  la ristorazione e l’intrattenimento la Federazione avanza alcune proposte sulle principali problematiche che frenano lo sviluppo del settore

AIUTI DI STATO NEL SETTORE DELLA RISTORAZIONE

Stesso mercato, stesse regole. E’ questo il principio a cui dovrebbe essere informato il sistema normativo in ogni segmento di mercato. Oggi nei servizi di ristorazione, al contrario,  abbiamo un sistema di norme che, di deroga in deroga, ha determinato un’eccessiva stratificazione del mercato generando fenomeni di distorsione della concorrenza e di vero e proprio dumping commerciale.

E’ il caso delle feste di partito, dei  circoli privati, delle associazioni di promozione, delle associazioni sportive dilettantistiche, delle sagre per le  quali è necessario – in questo particolar momento economico nel quale tutti i cittadini sono stati chiamati ad affrontare pesanti sacrifici in termini di aumento del prelievo fiscale  e di riduzione dei servizi – sopprimere i privilegi fiscali attribuiti alle forme di somministrazione dei alimenti e bevande poste in essere da tali realtà. Infatti, in ragione della non configurabilità  della commercialità di tali operazioni, i corrispettivi delle attività di somministrazione esercitate da tali entità non sono assoggettati né ad IVA né ad imposte dirette ed i locali nelle quali vengono effettuate sono esenti da IMU e assoggettati alla TARES ad una tariffa pari ad una frazione di quella prevista per la ristorazione. Siamo di fronte ad un vero e proprio AIUTO DI STATO che è già stato denunciato nelle competenti sedi.

FIPE chiede con forza e da subito la cancellazione di questi ulteriori privilegi della casta la cui permanenza rende non credibili gli impegni assunti dalle forze politiche nella lotta all’evasione.

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IVA

Prevedere una estensione della aliquota del 10 % a tutte le attività turistiche ad iniziare dalle prestazioni degli stabilimenti balneari e delle discoteche

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IMPOSTA DI SOGGIORNO

Il turismo da un apporto importante ai saldi della bilancia valutaria italiana, ben superiore a quello di altri settori produttivi del made in Italy quali l’alimentare e l’arredamento e più o meno simile a quello dell’abbigliamento. Eppure la percezione del ruolo del turismo nell’export del nostro Paese è debole al punto che con l’imposta di soggiorno si è arrivati a proporre un dazio alla rovescia in cui incassa chi esporta e paga chi importa.

La motivazione dell’imposta, prescindendo da quella immediata di fare cassa, starebbe nella necessità che i turisti contribuiscano a pagare i servizi che, altrimenti, sarebbero a solo carico dei residenti. Questa impostazione non tiene conto del valore aggiunto attivato dal turismo che resta prevalentemente sul territorio dove è stato generato e dalla consistente quota di tributi locali a carico delle imprese turistiche (tarsu, cosap, addizionale irpef, imu, ecc.)

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IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI

Per il settore dei locali da ballo occorre procedere all’abolizione della Imposta sugli Intrattenimenti, introdotta con L. 288/98 attuata con Decreto Legislativo  n. 60/1999. L’imposta che grava sui proventi  derivanti dalla biglietteria e da quelli relativi ai servizi obbligatoriamente imposti (es. consumazioni obbligatorie), attualmente attestata al 16% , colpisce i locali  che organizzano i trattenimenti danzanti con prevalenza di musica registrata.

Tale imposta viola l’art. 401 della direttiva CEE n. 28 novembre 2006 n. 112, in sostituzione dell’art. 33 della Direttiva CEE 388 del 17 Maggio 1977, che pone divieto agli Stati Membri di applicare oltre all’IVA altri tributi aventi il carattere di imposta sul volume d’affari. Occorre evidenziare che l’intrattenimento sconta già un’aliquota IVA più alta  di quella dello spettacolo attestandosi al 21%. La fiscalità indiretta sale, pertanto,  al 37% del costo del biglietto/consumazione obbligatoria. 

L’abolizione dell’imposta oltre a rispondere a principi di equità e di rispetto delle regole comunitarie consentirebbe alle imprese di essere maggiormente competitive nei riguardi di altri segmenti d’offerta che non costituiscono altrettanti elementi qualificanti del prodotto turistico.

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CONTRASTO DELL’ALCOOLISMO

Nel nostro Paese, a fronte di una generale riduzione del consumo di vino al pasto, desta gravissima preoccupazione il crollo dell’età del primo approccio alle bevande alcooliche che viene registrato intorno agli 11 anni di età. Inoltre si stanno diffondendo mode importate dai paesi esteri quali il binge drinking che porta i giovani allo stordimento ed ad intossicazioni etiliche e che è causa prima dei problemi della movida. Contemporaneamente  il  turismo giovanile  è spesso connotato da eccessi nei consumi di alcoolici – dei quali vi è una disponibilità ed una accessibilità anche economica ben diversa da quelle di moltissimi  paesi di provenienza – che  troppo spesso si traducono in risse ed incidenti anche mortali.

La disponibilità di alcol è stata considerata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità uno dei principali fattori da assoggettare a controllo al fine di ridurre  il consumo dannoso di alcool.

Infatti il piano  predisposto dal WHO, regional office for Europe, approvato dagli Stati europei pone, tra l’altro,  l’attenzione sulla necessità di controllare la disponibilità di alcol e sulla riduzione delle conseguenze negative  del bere.

Tale piano insiste sulla necessità di diminuire le occasioni di consumo che nel giro di pochi decenni si sono moltiplicate in modo incontrollato passando dai soli bar ad una pletora di esercizi di ogni tipologia.

In particolare il piano  al punto 63 l’Organizzazione Mondiale della Sanità  chiarisce che “un sistema di licenze permette ai governi di gestire la disponibilità di alcol, in quanto permette al governo di limitare il numero di licenze e  di  chiedere il rispetto di determinati standard a coloro  che hanno la licenza”  e di “imporre specifici divieti sull’uso di alcol in luoghi particolari.”

Le Strategie delineate (punti 64 e 65) invitano tutti gli Stati membri a “introdurre o mantenere  sistemi di autorizzazione per la vendita di alcol”.

Le Opzioni per l’azione (punto 66)  sintetizzano: “Rafforzare le leggi e i regolamenti esistenti  per ridurre la densità e gli orari di apertura, e, dove esiste, mantenere il monopolio di Stato per la vendita”.

Ma il Piano fornisce ulteriori indicazioni che dovrebbero potrebbero essere colte dal nostro legislatore. Infatti il punto 86 identifica per la riduzione dei danni alcol correlati  oltre all’introduzione di un sistema di licenze, la previsione di “programmi di formazione del personale che serve l’alcol come prerequisito per ottenere e conservare una licenza“.

Il successivo punto 90  (opzioni per l’azione) fornisce una sintesi operativa:  “Dovrebbero essere rivisti  rafforzati, se necessario, gli esistenti regolamenti per le licenze: i regolamenti dovrebbero assicurare che gli  esercenti autorizzati applichino le norme  stabilite, che  la formazione dei gestori sia considerata come prerequisito per le licenze, che i regolamenti siano continuamente monitorati ed applicati a livello locale,  che ci siano sanzioni sufficientemente severe (inclusa la revoca della licenza) per le violazioni da parte dei gestori o degli esercizi di vendita, e che ci siano sanzioni sufficientemente severe per gli organismi che rilasciano le licenze e  che non riescono a regolare in modo efficace gli ambienti dove si beve”.

Si tratta di indicazioni condivise anche dal nostro Paese che ha aderito a tale piano e che dovrebbero trovare attuazione in provvedimenti normativi delle competenti autorità anche allo scopo di garantire la sostenibilità dell’insediamento dei pubblici esercizi nei centri abitati.

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TERMINI DI PAGAMENTO DEI PRODOTTI ALIMENTARI (ART. 62 DECRETO LIBERALIZZAZIONI)

Con il decreto liberalizzazioni è stato introdotto il famigerato articolo 62 che impone di pagare a 30/60 giorni i prodotti alimentari e di avere un contratto di acquisto per ogni fornitore e ciò allo scopo di tutelare produttori ed agricoltori dallo strapotere delle centrali di acquisto di ipermercati e supermercati.

La norma, però, si applica a tutti gli acquisti di alimenti da chiunque effettuati e, quindi, investe centinaia di migliaia di imprese di tutte le dimensioni, ma prevalentemente micro, del settore della somministrazione di alimenti e bevande che dovranno pagare a 30 giorni i fornitori di alimenti freschi ed a 60 quelli di alimenti non deperibili, pena una sanzione da 500 a mezzo milione di euro. Inoltre saranno tenuti a stipulare contratti con ciascun fornitore.

Tutto ciò ha messo  in ginocchio un settore un settore in forte difficoltà causando rilevanti problemi tanto ai ristoranti di fascia alta, che alle mense, che ai locali marginali, che  agli stessi produttori destinati a perdere fasce di clientela che non potranno più permettersi di avere delle scorte, ma dovranno esasperare la rotazione del magazzino vista sia la difficoltà di accesso al credito che il divieto di contrattare diversi termini di pagamento.

Infatti, anche se l’esercente si dovesse accordare con il suo fornitore per pagare con comodo rischierebbe in caso di ispezione della Guardia di Finanza la denuncia all’Antitrust per aver pagato dopo 30/60 giorni o per non avere copia del contratto e, in ogni caso, sarebbe condannato a non cambiare fornitore per non essere  denunciato dal vecchio per ritardato pagamento.

Siamo di fronte ad una norma palesemente  incostituzionale poiché tratta nello stesso modo situazioni diverse (basti pensare al produttore quotato in borsa che la usa contro il chiosco bar) ed in contrasto con la normativa comunitaria che prevede per i privati la piena libertà di determinare i termini di pagamento.

FIPE, con la assistenza del Prof. Antonio Baldassarre, ha provveduto sia a denunciare il Governo italiano alla Comunità affinché questa apra una procedura di infrazione, sia a porre in essere le azioni per provocare una pronuncia della Corte Costituzionale.

FIPE chiede la soppressione di tale norma sia per  ridare fiato alle imprese che non trovano credito nel sistema bancario,  che per evitare al nostro paese le sanzioni derivanti dall’infrazione alla normativa comunitaria

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CONCESSIONI DEMANIALI TURISTICHE

Il  turismo balneare costituisce il segmento centrale dell’offerta italiana. Oltre il 60% delle concessioni hanno finalità turistico-ricreative. In tale ambito un ruolo di primo piano è svolto da pubblici esercizi e stabilimenti balneari che propongono un’offerta dei servizi di spiaggia sempre più variegata e ricca, integrando servizi diversi che ne fanno un vero “unicum” in Europa.

Tutte le attività che operano in aree demaniali pubbliche (campeggi, hotels, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari), si trovano, per effetto della normativa comunitaria che assoggetta il rinnovo dei titoli alle procedure di evidenza pubblica, in una fase di incertezza che sta determinando stallo degli investimenti e caduta di occupazione.

La proroga al 2020 delle concessioni in essere è già una prima risposta, ma occorre  prevedere una disciplina organica della materia rispettosa  sia della concorrenza che delle esigenze delle piccole imprese concessionarie che , in ogni caso preveda misure specifiche per l’esercizio di attività di impresa prevista dalla comunicazione europea sullo Small Business Act (COM(2008) 394 def.) del 25 giugno del 2008 a sostegno della micro e piccola impresa familiare, che non sono in grado di affrontare – per le loro stesse dimensioni – procedure competitive per l’assegnazione dei beni aree demaniali. Tali fattispecie operative dovrebbero essere pertanto sottratte alle procedure di gara.

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LAVORO

MERCATO DEL LAVORO

Tra i fattori critici dell’economia turistica va senz’altro annoverato l’insufficiente livello di competenze manageriali interno al sistema delle nostre imprese. La pluralità dei soggetti imprenditoriali, pur rappresentando un punto di forza dell’offerta sia in termini di diversificazione del prodotto che di flessibilizzazione dei processi, attenua l’efficacia delle azione volte a creare la necessaria discontinuità con modelli obsoleti di gestione e di produzione. Occorre, pertanto, favorire un processo di riqualificazione manageriale accelerando rispetto ai tempi previsti dal naturale turnover imprenditoriale.

Connessa alla inadeguatezza della competenza  manageriale nelle imprese vi è, poi, la questione che attiene alla qualificazione complessiva delle risorse umane così decisive nella produzione dei servizi di ristorazione, in particolare di quelli orientati ad un mercato di qualità.

Le risorse umane nel settore del turismo giocano un ruolo essenziale.

Da ciò discende l’esigenza di una nuova e diversa  regolamentazione dei rapporti di lavoro, più rispondenti alle dinamiche di imprese medio piccole, rispetto a quelle della grande industria.

In questi anni, le varie forme di flessibilità quali  il contratto a termine, il contratto di lavoro a chiamata, il lavoro accessorio sono stati gli strumenti con i quali le imprese hanno affrontato un mercato difficile, caratterizzato da lunghe fasi di crisi, consentendo, sostanzialmente una tenuta dell’occupazione.

La recente riforma del mercato del lavoro ha introdotto nuove rigidità nel nostro ordinamento, rendendo più difficoltoso il ricorso alle formule contrattuali flessibili e compromettendo alcuni degli equilibri raggiunti negli anni scorsi dalle parti sociali.

Tali rigidità devono essere superate attraverso l’introduzione di misure che riducano l’aggravio burocratico nella gestione dei rapporti di lavoro, l’aggravio contributivo dei rinnovati ammortizzatori sociali, e le ambiguità interpretative degli interventi in materia di flessibilità in uscita.

Restano soprattutto, a nostro avviso, tutta la necessità e l’urgenza di scelte che consentano di :

  • ridurre il cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro;
  • ampliare  gli spazi rimessi alla contrattazione collettiva in materia di gestione della flessibilità dei contratti di lavoro e dei rapporti di lavoro;
  • potenziare e rendere strutturali la detassazione e la decontribuzione delle erogazioni che la contrattazione collettiva istituisce per incentivare la produttività del lavoro.

DESTAGIONALIZZAZIONE

Si rendono necessarie adeguate politiche legislative atte a incrementare progressivamente il periodo di attività delle imprese turistiche e quindi a tutelare i livelli di reddito dei lavoratori, salvaguardandone l’occupabilità e incentivando la permanenza nel settore.

In particolare:

  • prevedere l’introduzione di benefici contributivi e fiscali in caso di prolungamento dell’attività stagionale, compensati da un maggior gettito contributivo e fiscale, derivante dall’allungamento del  periodo di apertura;
  • adottare strumenti che consentano alle imprese del settore turismo di adempiere agli obblighi amministrativi concernenti i rapporti di lavoro in forma semplificata, con particolare riferimento ai fenomeni di stagionalità e di alta mobilità professionale degli addetti, ricorrendo anche all’ausilio della tecnologia (point of job) per ridurre i margini di “elusione” e stimolare comportamenti virtuosi in un settore fortemente condizionato dalla ripetitività delle procedure di instaurazione dei rapporti di lavoro
  • perfezionare l’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi)  trasformandola da un mero intervento assistenziale di tipo economico ad un intervento di reinserimento nel mondo produttivo, privilegiando le imprese che siano in grado di ricollocare i lavoratori disoccupati.
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